La finale dei recenti Australian Open ha lasciato delle immagini ben impresse che si allontanano dal trionfo di Jannik Sinner, o meglio, ne sono la diretta conseguenza: lo sguardo impotente durante il match e poi sconsolato durante la premiazione di Alexander Zverev. Uno sguardo quello di Sasha che raccontava meglio di ogni discorso la delusione per la sua terza finale Slam persa. Il tennista tedesco, attualmente numero due al mondo, si è trovato ancora una volta a sfiorare il successo per poi applaudire il proprio avversario mentre quest’ultimo gli dà le spalle alzando un trofeo del Grande Slam rivolgendogli parole di conforto. Un risultato che sembra cristallizzare una realtà scomoda: i tennisti nati negli anni ’90, la "Lost Generation" del tennis, sono incapaci di lasciare un segno negli annali sportivi. Si tratta di una generazione di talenti promettenti nati negli anni ’90 e che per osmosi avrebbero dovuto assimilare il tennis dei grandi nomi dell’epoca, rimasti però intrappolati tra due epoche: l’era d’oro dei "Big 4" e la rivoluzione delle giovani leve. Nonostante occupino buona parte della top 10 Atp (esclusi Djokovic, Alcaraz e Sinner), si ha la sensazione che siano lì più per i demeriti di altri che per effettivi successi. Il web li ha ribattezzati impietosamente la "Bozo Generation". Un termine che, tradotto dall’inglese, significa "stupido", riflettendo in maniera sferzante come questa generazione sia inconsistente agli occhi del grande pubblico di appassionati e non, come fatichi a imporsi nei momenti che contano. E non si parla solo di tennis giocato.
Mentre i successi e il carisma mostrato dentro e fuori dal campo di gioco hanno consacrato Federer e Nadal come stelle globali, icone dello sport che hanno saputo attraversare generazioni, i volti di Zverev, Medvedev, Tsitsipas o Rublev non hanno mai raggiunto quel livello di notorietà. I risultati deludenti si riflettono in tutto, dall’immagine pubblica ai guadagni: pochi trofei, pochi contratti milionari. In termini di notorietà i soli a essersi distinti sono forse Taylor Fritz, finalista agli Us Open 2024, e Matteo Berrettini, finalista a Wimbledon nel 2021. In entrambi i casi il tennis, però, c’entra poco. L’americano, infatti, è noto per il suo legame con Morgan Riddle, nota influencer da 427mila followers su Instagram, che grazie al tennis è riuscita a crearsi un proprio impero, trasformando i tornei del fidanzato in passerelle per mostrare outfit e make-up sponsorizzati dai grandi brand del lusso. Il nostrano “The Hammer”, invece, per le sue qualità fisiche e storie d’amore riportate su tutti i rotocalchi nazionali.
Se l’opinione pubblica può essere condizionata da apprezzamento e antipatie nei confronti dei diversi atleti, sono i numeri raccontare la realtà. I tennisti nati negli anni ’80 hanno conquistato complessivamente 75 Slam, sono 7 invece i titoli del Grande Slam per quelli nati dal 2000 in poi (4 per Alcaraz e 3 per Sinner). E per quelli nati negli anni ’90? Soltanto 2, un titolo per Thiem e uno per Medvedev, entrambi vincitori degli Us Open rispettivamente nel 2020 e nel 2021. Il recente Australian Open ha messo ulteriormente a nudo le lacune di questi talenti inespressi, arrivati al proprio apice troppo tardi nella loro carriera. Mentre Zverev si è arreso solo in finale, altri suoi coetanei sono usciti nelle prime fasi del torneo australiano, lasciando la scena alle nuove promesse: Draper, Shelton, Fonseca, Mensik, Tien, Lehecka. Possiamo davvero dire che questa generazione abbia fallito solo per sfortuna? La verità forse sta come sempre nel mezzo. E il fenomeno non riguarda solo il tennis. Nel calcio, la stessa generazione è rimasta nell’ombra dei giganti Messi e Ronaldo, incapace di trovare spazio sotto i riflettori. Una crisi trasversale che va oltre il tennis, fatta di sogni mai davvero realizzati e di un panorama sportivo che non perdona i mediocri. Intanto, il tennis guarda avanti. Sinner e Alcaraz sono già i leader di una nuova era, pronti a riscrivere la storia. La "Lost Generation", invece, rischia di rimanere un capitolo che nessuno ricorderà. Ma Zverev, con quello sguardo vuoto, ricorderà per sempre ogni occasione mancata.