“Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio”, ha raccontato Gigi Buffon (che ha scritto un libro con Mario Desiati per Mondadori: Cadere, rialzarsi, cadere rialzarsi) a proposito del periodo di depressione vissuto dopo la finale di Champions League persa con il Milan. Un disagio che poi si tradusse anche in campo: “Un attacco di panico. Sentivo una pressione al petto, non riuscivo a respirare, pensai che non avrei mai voluto essere lì e non avrei mai potuto giocare la partita”. Peraltro, un episodio che si manifestò in una partita non decisiva (era Juventus-Reggina), ma che per il portiere andava giocata per forza, per non creare “un precedente con me stesso”. Non bastava, però, la determinazione e quindi Buffon si rivolse a un medico, pur rifiutando i farmaci per paura della possibile dipendenza. In quel momento, l’ex capitano della Juventus cambiò vita: “Dalla psicoterapeuta andai solo tre o quattro volte, ma mi diede un consiglio prezioso: coltivare altri interessi, non focalizzarmi del tutto sul calcio”. E da lì Buffon iniziò ad appassionarsi alla pittura: “Andai alla Galleria d’arte moderna di Torino. C’era una mostra di Chagall. Presi l’audioguida. Davanti alla Passeggiata rimasi bloccato per un’ora. È un quadro semplice, raffigura Chagall con la moglie Bella mano nella mano; solo che lei vola. Il giorno dopo, tornai. La cassiera mi disse: guardi Buffon che è la stessa mostra di ieri. Risposi: grazie, lo so, ma voglio rivederla”.
“Gli errori”, dice ancora il portiere nell’intervista di Aldo Cazzullo uscita sul Corriere della sera, “non li ho mai nascosti”. Tra questi, la maglietta indossata con su scritto: “Boia chi molla” e il numero 88, per cui Buffon venne considerato un fascista. “Non avevo la minima idea che per qualcuno evoca Heil Hitler”, ha ammesso. Un’ingenuità che un suo ex allenatore, Renzo Ulivieri, probabilmente aveva colto (“Mi convoca e mi fa trovare un busto di Lenin”). Lo stesso allenatore disse che in realtà Gigi era un comunista, per la sua decisione di far giocare al secondo portiere la finale di Coppa Italia. Ad ogni modo, “di sicuro non sono fascista, tanto meno razzista”, quanto piuttosto “un anarchico conservatore. Carrara, la mia città, è terra di anarchici. Credo profondamente nella libertà, e ho pagato un prezzo per questo”. Buffon si riferisce per caso ai giornalisti? “Abbraccio i giornalisti, ma non ho mai cercato la loro complicità. E i giornali, i social, contano molto nel nostro ambiente”. Poi i racconti sui campioni, Leo Messi e Cristiano Ronaldo, il compagno di strada, “quel ragazzo anche lui un po’ strafottente, con l’accento romano, due anni più grande di me, che conobbi nella Nazionale under 16: Francesco Totti”, e le debolezze. Inevitabile, su questo, la domanda sulle scommesse: “Per qualcuno è un vizio. Per me era adrenalina. Di una cosa sono certo: non ho mai fatto nulla di illegale. Infatti non sono mai stato indagato, non ho mai ricevuto un avviso di garanzia. Perché non ho mai scommesso sulla Juve o sulla Nazionale o sul calcio. Ho sempre e solo scommesso sul basket americano e sul tennis. Ora al massimo vado due o tre volte l’anno al casinò”. Lo scandalo Calciopoli, tra l’altro, esplose l’anno del mondiale del 2006 vinto con la Nazionale. E forse è anche per la volontà di superare il momento difficile che Si era creata “un’atmosfera straordinaria, di fiducia e unità, che era mancata quattro anni prima in Corea, dove pure eravamo fortissimi”. C’è stato poi l’Europeo del 2012, quello con Antonio Cassano e Mario Balotelli. Del primo dice che non è vero che non andassero d’accordo, mentre del secondo Gigi si è detto emozionato del ritorno in Italia, al Genoa. Ed è proprio in quell’occasione che Buffon fu costretto a testimoniare un’altra volta: “Dormivo beatamente nella stanza 209, quando arrivò la polizia. Nel ritiro della Nazionale, alle 5 del mattino, con le telecamere fuori: i giornalisti erano stati avvertiti. Erano lì per Domenico Criscito. Lo trovai ingiusto, e lo dissi. Criscito non ebbe un giorno di squalifica; intanto però perse l’Europeo. Io fui convocato in procura. Ero talmente sicuro di non aver fatto nulla che andai da solo, senza l’avvocato. E ci rimasi male nel vedermi torchiato. Sempre con le stesse domande. Alle quali ho sempre dato le stesse risposte. La verità: non ho mai scommesso sul calcio”.
I personaggi incontrati in carriera, però, sono tanti. Tra i più controversi c’è sicuramente Luciano Moggi: “Una persona simpatica e controversa, un dirigente che ha sempre avuto successo, un carismatico che teneva a distanza i calciatori ma li sapeva prendere”. E che, a dire di Buffon, non è stato decisivo nei due scudetti vinti e poi revocati: “Chi c’era sa che sul campo li abbiamo vinti noi. In un ambiente dove i puri che potevano scagliare la prima pietra erano pochissimi”. E il più forte tra gli allenatori? “Sono stato fortunato. Ho avuto i sergenti: Scala, Capello, Conte. Quelli che scuotono i calciatori. E ho avuto gli psicologi, quelli che li calmano: Ancelotti, Allegri”. Ma l’ex portiere non si sbilancia. Con Ilaria D’Amico, invece, le cose non erano iniziate al meglio, con quella domanda fatta dalla conduttrice a proposito del gol di Sulley Muntari non concesso durante Milan-Juventus: “Buffon, se si fosse accorto che la palla era entrata, l’avrebbe detto all’arbitro?”. Gigi rispose negativamente. “Tempo dopo ci siamo trovati in un ospedale, a un evento di beneficenza. Abbiamo cominciato a parlare. E ho capito che la donna algida che vedevo in tv era in realtà dolcissima”. Per lei, tra l’altro, Buffon lasciò Alena Seredova: “Era una storia ormai alla fine, attraversata da una crisi profonda. Ma mi ha dato un grande dolore farla soffrire, far soffrire i nostri figli, Louis Thomas e David Lee, che chiamo Dado. Oggi sono felice che Alena abbia un’altra famiglia: ha fatto una figlia, ha un uomo al suo fianco”. Insomma, tra le vittorie in campo e le partite perse fuori, dalla nazionale fino alla nuova famiglia allargata. Cadere e rialzarsi, come il titolo del suo ultimo libro.