Marvin Vettori è stato il primo italiano ad avvicinarsi alla conquista del titolo Ufc nella categoria dei pesi medi. Nato nel 1993 a Mezzocorona, in Trentino, si è trasferito negli Stati Uniti da giovane per seguire l’obiettivo di diventare un combattente professionista, cosa che in Italia sembrava difficile da realizzare. Con il tempo, è riuscito a farsi riconoscere nel settore, costruendosi una carriera tra incontri difficili, impegno e risultati importanti. Ospite al Bsmt, ha raccontato il suo percorso personale: dagli esordi in Italia fino alla partecipazione ai più importanti eventi dell’Ufc. Ha parlato della sua esperienza nello sport, dei momenti complicati, della tenuta mentale necessaria, ma anche delle sfide legate all’essere un atleta in questo campo, tra stereotipi e regole che superano l’aspetto puramente agonistico. L’intervista è stata registrata poco prima della tragica morte del fratello di Marvin, Patrick. Per questo motivo, come specifica Gazzoli, viene condivisa ora con discrezione e rispetto. Ecco cos'ha detto.

Marvin Vettori vive negli Stati Uniti, terra di nascita dei podcast, ma racconta di non averne fatti molti. Uno su tutti, visto che si parla di Mma, quello di Joe Rogan: “Non mi ha mai invitato, ma secondo me non gli piaccio molto. Mi segue, ma ho questa sensazione. Ma fin'ora in America i media non mi hanno preso molto in simpatia. Magari è anche il modo in cui mi ponevo, non so”. La stagione sportiva, in America, è estenuante: “Più di 50 eventi all'anno. L'organizzatore ti può chiamare 10 settimane prima, ma anche il giorno stesso. Ci sono stati casi di short day notice in cui un ragazzo veniva chiamato al mattino per combattere il pomeriggio. Siamo dei pazzi”. Il soprannome The Italian Dream? “L'ho scelto io perché comunque vengo da un paesino, ci ho creduto e sono riuscito a fare qualcosa. Ho pensato in grande fin da subito”. Ma non è stato facile, agli inizi, per campare, Vettori ha fatto anche il buttafuori a Londra: “Avevo 19 anni e un brevetto falso per fare la security. Un lavoro non facile, una volta c'erano dei soldati americani che facevano casino, mi sono buttato in mezzo a dividerli. Poi sono arrivati tutti gli altri e li abbiamo sbattuti fuori”.

Poi la firma in Ufc: “Mi ha chiamato il mio manager dicendomi: they signed. È arrivata la firma. Volevo urlare ma poi mi ha detto: you can’t say nothing. Non ho potuto dirlo a nessuno per un mese e mezzo fino al debutto. Pensavo fosse in Europa, invece era un evento grosso, a Las Vegas: McGregor-Nate Diaz 2”. I guadagni? “Ho cominciato a vivere decentemente dopo il secondo, terzo contratto Ufc. Con il primo ti metti in pari, metti via poca roba. Il contratto base Ufc, appena entri, è 12mila più 12mila. Però ti devi pagare la preparazione, il camp, poi se vinci ti danno gli altri 12mila, se no torni a casa solo con i primi 12 sui quali poi ci devi pagare anche le tasse, oltre a tutto il resto”. Con un budget del genere, non è stato facile agli inizi in America: “Volevo andare alla Kings, un camp in California. Avevo un budget di 10mila e non volevo spenderli tutti, ma non era facile. Dovevamo andare dalla zia di un mio amico a Pasadena, ma non era vicinissimo. Poi, dopo aver dormito una sera al McDonald's dove scroccavo il wi-fi, ho conosciuto un ragazzo che mi ha ospitato a casa sua”. Poi la rivalsa, con Mike Tyson che va a vedere i suoi incontri, ma viceversa, cosa ne pensa Marvin Vettori degli ultimi match di Iron Mike? “L’incontro con Jake Paul ha avuto senso dal punto di vista dei soldi, ma per me è stato quasi triste vedere Mike ridotto in quel modo, si poteva evitare, a 60 anni. La natura fa il suo corso per tutti”. E Conor McGregor? “Non sono un moralizzatore, o uno che giudica, ma lui comunque ha perso un po' la reputazione nel mondo del fighting. Cioè, ormai non è più quello che ha battuto Eddie Alvarez, che ha conquistato due titoli o che comunque ha fatto cose assurde”. Il pugno a Facchinetti? “Bisognerebbe essere lì per capire la situazione, comunque è uno che fa andare le mani un po' troppo facilmente”.
