Il cielo su Roma oggi ha un solo colore: arancione. Ma non quello della terra del Foro Italico, che pure domina la scena. Alle 19 in punto, sul Centrale, scatterà l’ora X: Jannik Sinner torna in campo, e la città, e con lei il tennis mondiale, può finalmente respirare. La data è cerchiata in rosso da mesi, anche se nessuno poteva sapere con certezza che sarebbe stato oggi. E invece no, ci sarà. E il popolo ha risposto come sempre: campo 5 e adiacenti presi d’assalto già ieri durante l’ultimo allenamento, cinque file di spettatori in piedi oltre le tribune, spidercam che vola sulle teste per immortalare ogni spostamento, ogni dritto e ogni rovescio. Il tutto per una rifinitura in grande stile contro Francisco Cerundolo, lo stesso che due anni fa, proprio qui, aveva eliminato Sinner nell’ultima partita romana prima del blackout.

Da Cerundolo a Navone, l’argentino numero 99 del ranking ma ben più pericoloso di quanto dica la classifica. Sarà lui il primo ostacolo di un percorso che per Jannik ha il sapore di liberazione, più che di ambizione. Si riparte da quel mattino di febbraio a Doha, quando la prima intervista post-Australian Open fu annullata all’ultimo, quando ancora nessuno sapeva cosa stesse per succedere. Da allora, tre mesi fuori dai radar ufficiali, con la sospensione concordata con la Wada e un tempo sospeso che il tennis ha occupato senza un vero dominatore. Sette finalisti diversi nei quattro Masters 1000, quattro vincitori diversi, e neppure un lampo di Zverev, che avrebbe dovuto approfittarne per assaltare il trono. Il trono che invece è ancora lì, occupato da Sinner, che anche perdendo al primo turno a Roma conserverebbe il numero 1 fino a Parigi. Ecco perché Roma è fondamentale, ma solo fino a un certo punto: serve per rompere il ghiaccio, per “tornare a giocare”, più che per vincere subito. Anche se conosciamo Jannik, e sappiamo già che non farà calcoli. Non ne ha mai fatti.

A confermarlo è Simone Vagnozzi, coach di Sinner insieme a Darren Cahill, che in questi giorni ha parlato molto. Prima a SuperTennis ha definito “speciale” il ritorno sul Centrale e ha spiegato che “era importante tornare agli Internazionali BNL d'Italia, dove Jannik non aveva giocato lo scorso anno”, aggiungendo che “si chiude un periodo difficile, che non ci ha permesso di goderci pienamente neanche la scalata al n. 1 del mondo”. Poi ha raccontato che “abbiamo affrontato il primo mese con molta tranquillità”, ma anche che “siamo arrivati qui dopo due settimane di allenamenti intensi e siamo fiduciosi”. Il lavoro, dice, si è concentrato soprattutto “sulla varietà di gioco”, ma ora “Jannik dovrà trovare le proprie certezze in campo”. A La Stampa, Vagnozzi ha poi spinto il ragionamento ancora oltre. Ha detto di essere rimasto colpito da chi, nel circuito, ha definito la squalifica “un vantaggio”: “Sono rimasto un po’ sorpreso. Mai visto nessuno prendere tre mesi di pausa per scelta. Negli ultimi cinque mesi abbiamo fatto solo due tornei: non è un vantaggio”.

Il racconto di quel tempo sospeso è chiaro: “Il primo è stato più rilassato, per recuperare le energie. Poi abbiamo iniziato a fare match di allenamento, che però non sostituiscono un torneo. Sicuramente qui a Roma ha fatto bene a Jannik allenarsi davanti al pubblico per ritrovare certe sensazioni”. Dal punto di vista mentale, però, c’è fiducia. “Penso di no”, risponde Vagnozzi quando gli chiedono se esista il rischio che Sinner fatichi a rientrare nella ‘bolla’ del circuito. “Negli ultimi due anni abbiamo comunque lavorato per fargli scoprire che c’è una vita oltre il tennis. È diventato più flessibile, più aperto a certe situazioni”. Quanto al clima nei corridoi del tour, dopo il caso doping, l’impressione, dice, è che qualcosa si sia rotto: “Jannik ha confessato che in Australia si è sentito guardato male negli spogliatoi. La sensazione c’era, poi non so se la sentivamo solo noi o ce la trasmettevano gli altri. Inevitabile avere addosso gli occhi di tutti”.

Infine, una riflessione tecnica: la terra battuta resta la superficie meno amica per ora, anche se il trend è cambiato. “È la superficie dove ha meno sicurezze”, ammette Vagnozzi. “Ma l’anno scorso ha fatto una buona stagione sulla terra, tra semifinale a Montecarlo e semifinale a Parigi, quarti a Madrid che non ha potuto giocare. La preparazione certo non è stata quella che avremmo voluto: ma come sempre abbiamo saputo adattarci”. E Roma è il posto giusto per farlo. Perché ogni cosa qui sembra disegnata su di lui: il pubblico, la pressione, la voglia di esserci. I Carota Boys sono già in tribuna, ma sono spuntate anche le Sinnerine da Montevarchi, e altri gruppi creativi con lettere sulle magliette a comporre il nome del ragazzo che ha riscritto la storia del tennis italiano. Il Foro Italico lo aspetta. L’Italia pure. Habemus Sinner. Finalmente.