“Ti auguro grande forza, Jorge. Sono senza parole, spero solo che questa sfortuna possa terminare prima possibile. Forza!”. E’ il messaggio che Marc Marquez ha affidato ai suoi profili social, ripubblicando il post con cui Jorge Martin ha provato a rassicurare tutti i suoi tifosi dal letto dell’Ospedale di Doha in cui si trova ricoverato dopo l’incidente avuto nel GP del Qatar. Quello dell’otto volte campione del mondo è solo uno dei tantissimi attestati di solidarietà che praticamente tutto il paddock ha tributato allo sfortunato campione spagnolo che, dalla sua, si è limitato a un “poteva andare molto peggio”. Tante parole trasformate in un abbraccio da quelli che ogni domenica sono avversari da battere, ma che hanno storie simili e che, anche solo provando a immedesimarsi in quello che è accaduto a Martin in questi mesi, non possono fare altro che rabbrividire.

Chi, invece, alle parole non c’è ricordo per niente è Fabio Di Giannantonio. Il romano del Team VR46 ha detto tutto quello che c’era da dire condividendo la stessa immagine di Martin accompagnata da due mani giunte. Il resto il Diggia l’aveva già fatto e detto subito dopo la bandiera a scacchi di un GP che non dimenticherà mai e in cui gli è successo di tutto. “Ho visto Martin cadere e una frazione di secondo dopo l’ho colpito – ha raccontato – E’ stata la cosa più spaventosa che mi sia capitata da quando corro in moto”. Un’immagine che non se ne è andata dagli occhi fino alla bandiera a scacchi, quando il Diggia, rientrando al box, s’è fermato subito davanti agli uomini di Aprilia, per avere un aggiornamento e per scusarsi. Anche se c’è poco da scusarsi, quando di certo non si hanno colpe e si è avuta solo la sfortuna di trovarsi proprio lì in quel maledetto momento.
Ma come sta oggi Jorge Martin? Ha trascorso la notte sotto l’occhio vigile del personale sanitario dell’Hamad General Hospital di Doha e si è sottoposto anche a ulteriori esami che hanno escluso danni o alterazioni traumatiche a carico dell’encefalo, della colonna cervicale e degli organi addominali. Niente di rotto anche per quanto riguarda gli arti inferiori e superiori. Ma questo non significa che potrà tornare in sella subito. Perché le fratture sono comunque undici (e non sei come s’era detto in un primo momento): otto agli archi costali posteriori, dalla prima all’ottava, tre a carico degli archi laterali, dalla settima alla nona. In più, riferiscono da Aprilia, c’è “una minima soffusione pleurica nel contesto dello pneumotorace già noto". “Cercherò di tenervi informati” – ha scritto il campione del mondo sui suoi profili social, ma ad oggi non c’è neanche da chiedersi se potrà essere a Jerez tra due settimane (anche se lui stesso è il primo a sperarlo).
La considerazione che viene da fare, piuttosto, è un’altra. Ok il cordolo Misano che a volte può essere più pericoloso che sicuro, ok i mille dubbi e le centinaia di analisi sull’accaduto, con tanto di moviola, ma sarebbe successo tutto lo stesso se Martin avesse potuto provare una MotoGP prima del rientro in pista? Sì, la domanda è cattiva e non avrà mai una risposta, visto che le fatalità non lasciano margini di previsione. Però quando Massimo Rivola, CEO di Aprilia, aveva provato a buttare là che far provare Martin avrebbe significato non dargli un vantaggio, ma garantire a tutti un maggiore margine di sicurezza, s’è scatenato il pandemonio. E anche molti di quelli che oggi, giustamente, solidarizzano con il collega, s’erano affrettati a far sapere di non essere d’accordo. Forse, anche se adesso è facile dirlo col senno di poi, andavano fatte valutazioni diverse. Perché Jorge Martin a Lusail è finito a terra in quel modo, molto probabilmente, perché il suo corpo non ne poteva più dopo due giorni in sella a suon di antidolorifici; solo che lo stesso Martin non ha avuto riferimenti per rendersene conto, visto che non guidava da mesi dopo l’incidente di Sepang e quello in allenamento alla vigilia della partenza per il GP della Thailandia.