Carlos Alcaraz ha vinto con merito gli Internazionali d’Italia. Ha battuto Jannik Sinner in finale 7-6, 6-1 in un’ora e 43 minuti e ha alzato per la prima volta il trofeo romano, portandosi a casa il settimo Masters 1000 in carriera. Un dominio esploso dopo un primo set tirato, che ha illuso il pubblico del Foro Italico. “C’è stata partita soltanto nel primo set”, scrive Andrea Scanzi sul Fatto Quotidiano. Poi, dopo il break che ha portato Alcaraz sul 2-0 nel secondo, “lo spagnolo ha esondato con virulenza fredda e carnivora”. Era tutto pronto per celebrare la doppietta italiana, con mezza Italia già pronta “a fare post a raffica sulla doppietta supersonica Jannik-Jasmine”, anche perché “Paolini aveva ottenuto con Errani il titolo di doppio”, impresa nell’impresa dopo la vittoria in singolare, “recuperando entrambi i set da 0-4”. Ma Sinner non è riuscito a completare il capolavoro. E chi ora alza il sopracciglio sulla sua prestazione, per Scanzi, “è scemo, oppure appartiene alla foltissima schiera di chi fino a un anno fa non aveva mai visto neanche mezza partita di tennis (eppure adesso pontifica)”.

Nel tennis, ricorda, contano anche i numeri. E tra Sinner e Alcaraz i precedenti ora dicono 7-4 per lo spagnolo. Ma la questione è più sottile. “Ciò non vuol dire che Carlos sia più forte di Jannik”, puntualizza, “ma vuol dire che quando i due si incontrano è l’iberico a dare quasi sempre il massimo”. Perché Alcaraz, scrive ancora, “è uno strafottente smargiasso e compiaciuto, al punto da far uscire (a 22 anni!) un tafazziano docu su Netflix nel quale si vanta di allenarsi molto meno (e di far tardi molto più) di quanto dovrebbe”. Ha talento, ma anche arroganza. Gioca ogni match – specie quelli importanti – con quella che Scanzi definisce “Modalità Stocazzo”, consapevole di “una superiorità pressoché assoluta con il 99.9% dei tennisti in attività (lo 0.1% restante è Sinner)”. E quando è così, non ce n’è per nessuno: “Ieri è andata in scena la versione migliore, sadica e mefistofelica, di Alcaraz. E quando gioca così nessuno lo può battere, se non le versioni altrettanto migliori di Sinner (e Djokovic)”. Quel che lo frega, però, è proprio ciò che lo esalta: “Quel che frega Alcaraz è la sua spocchia e, conseguentemente, la sua incostanza. L’esatto opposto di Jannik, continuo e professionale come nessuno (nota a margine: Sinner non perdeva da ottobre, proprio contro Alcaraz)”.

Ma ieri quella versione di Jannik non c’era, e non poteva esserci. Lo sa anche lui. “Sinner non era al meglio”, ricorda Scanzi. “Sperava al massimo di vincere due/tre incontri e avrebbe firmato col sangue a inizio torneo di perdere in finale”. Perché non si può dimenticare che questo è stato il suo primo torneo dopo tre mesi di squalifica. “Pare non ricordarselo più nessuno, ma Sinner è tornato a Roma dopo tre mesi di squalifica”, e “il tennis è ripartire ogni volta da capo, anche se ti chiami Sinner”. Troppi, oggi, si aspettano da lui l’impossibile. “Troppi neofiti della racchetta sono convinti che la norma sia vedere Sinner che lascia un game a un top ten come Ruud: no, quella è l’eccezione. Quella è la gara ‘perfettissima’, che in un anno capita 3 o 4 volte”. Il momento che ha cambiato tutto arriva nel dodicesimo game del primo set. “6-5 e servizio Alcaraz. Jannik è andato 15-40, conquistandosi due palle break che erano anche set point”. Occasioni perse. E da lì il tracollo: “Smarrite quelle occasioni, Alcaraz è salito ulteriormente e Sinner è evaporato, quasi che, per la prima volta in questi dieci giorni, si fosse di colpo ricordato dei tre mesi di stop, della ruggine e della stanchezza”.

E poi c’è la dinamica psicologica. “Più l’avversario lo gasa e più lui si esalta. E nessuno lo gasa come Sinner. Ieri, per il numero 2 al mondo, era la partita perfetta: aveva l’avversario più 'odiato' e lo affrontava a casa sua, con tutto il pubblico già pronto a fare i trenini (a cui avrebbero partecipato in prima fila anche i Renzi e i Tajani, presenti in tribuna e sempre encomiabili nel portare diversamente fortuna)”. Il rispetto c’è, ma è carico di tensione. “Alcaraz rispetta Sinner, ma venderebbe l’anima al diavolo (se non l’ha già fatto) pur di batterlo”. E anche nella vicenda doping, secondo Scanzi, si è comportato “in modo assai freddo e paraculo”. Ma il bilancio, alla fine, resta positivo. “Sinner ha fatto un torneo pazzesco, ed è quasi inaudito che dopo lo stop sia già così in forma”. Paolini, aggiunge, “merita solo peana”. E, complessivamente, “il tennis italiano sta da Dio (pensando pure a Musetti)”. Ora arriva il Roland Garros, e l’attesa è già enorme: “l’imminente Roland Garros risulta sin d’ora imperdibile”. La finale di Roma l’ha vinta Alcaraz, ma Jannik non ha affatto perso. Ha retto, ha lottato, è tornato. Non era la sua versione deluxe, ma è bastata per arrivare in fondo. E questo, nel tennis di oggi, significa tantissimo.