Ancelotti - Brasile, un connubio che fa sognare. Da una parte l’allenatore più vincente di sempre: oltre venti titoli nazionali e internazionali (15 coni Real Madrid), tra i quali 5 Champions League (Milan e Real Madrid), campionato italiano, francese, tedesco, due volte primo in Liga in Spagna, coppe, supercoppe e riconoscimenti personali come la Panchina d’oro. Dall’altra il paese che ci ha insegnato la bellezza del calcio, oltre a dominare tutti con cinque mondiali in bacheca. Sicuramente tra i progetti più affascinanti della storia del gioco del pallone. Non era mai accaduto a un tecnico italiano. Serve Carletto, secondo la Cbf, la federcalcio verdeoro, per il risollevare un movimento che sta attraversando un periodo di crisi profonda. “Portare Carlo Ancelotti sulla panchina della nostra nazionale - ha affermato il presidente Ernaldo Rodrigues - è una dichiarazione al mondo che siamo determinati a recuperare il gradino più alto del podio. Lui è il miglior tecnico della storia e ora è alla guida della nazionale migliore del pianeta. Insieme scriveremo gloriosi capitoli del calcio brasiliano”.
Manca l’Hexa, il sesto titolo mondiale agognato da più di vent’anni. L’ultima volta che si è alzata al cielo la coppa, sotto gli occhi del Cristo Redentore, era il 2002. Giocavano in quella nazionale, guidata dal CT Luiz Scolari, fenomeni assoluti: Cafù, Roberto Carlos, Ronaldo, Rivaldo, Ronaldinho. Altri tempi e altro Brasile. Quello non era nemmeno calcio, era l’espressione massima del futbol bailado, misto tra danza, freestyle e capoeira, un movimento artistico che aveva ereditato da Pelé, Garrincha e Zico, il DNA della Ginga, stile inimitabile che aveva permesso loro di fare la storia e insegnare a tutti come si tratta il pallone con i piedi. Ora siamo al punto di svolta. Un tempo decisivo per invertire una rotta che, al paese che, più di tutti lega la sua storia e i sogni di un popolo al calcio, ha fatto collezionare solo delusioni. Sconfitte brucianti ai Campionati del Mondo, partite perse in Copa America in modo clamoroso e l’eterna sfida con gli argentini, oggi sul tetto del pianeta, attualmente senza gara. L’albiceleste domina e vince, mentre i verdeoro sembrano una copia sbiadita e triste di ciò che dovrebbero rappresentare. Quella di Ancelotti rappresenta quindi l’ultima chiamata per far tornare a splendere il sole sulle spiagge di Copacabana. C’è da risollevare una squadra che, se andiamo a sfogliare le figurine, di talenti ne avrebbe molti. Su tutti i “suoi” Militao, Vinicius jr e Rodrygo, star con il Real Madrid che ha vinto tutto con la guida del maestro di Reggiolo. Ma anche il portiere Allison, il difensore del Psg Mariquinhos, Bruno Guimaraes del Newcastle a centrocampo, Martinelli dell’Arsenal Rapinha, uno dei candidati al Pallone d’oro, davanti. E poi i talenti Endrick ed Estevao da levigare e preparare per grandi palcoscenici, oltre al tentativo di recupero di Neymar, l’ultimo vero dieci verdeoro. Insomma, di lavoro Ancelotti ne ha da fare molto e, secondo gli accordi presi, siederà sulla panchina della nazionale sudamericana a partire dal 5 giugno, nella gara valida per le qualificazioni al Mondiale 2026, che si giocherà a Guayaquil contro Ecuador. Il secondo impegno sarà cinque giorni dopo a San Paolo, nello stadio del Corinthians, contro il Paraguay. Il Brasile attualmente è quarto in classifica, lontano dieci punti dall’Argentina, due dall’Ecuador e con un vantaggio di sei punti sulla settima il classifica, la prima esclusa dalla competizione iridata.

Cosa può portare Ancelotti nel calcio brasiliano? Sicuramente lo status di vincente. Un allenatore che con il Real Madrid, la società più blasonata al mondo, vanta 15 titoli vinti, tra le quali 4 Champions League, e ha contribuito alimentare la grandezza della storia del Milan, sotto questo aspetto non ha più niente da dimostrare. Anzi, ha il carisma per trasferire a un gruppo di calciatori di indiscusso talento, la mentalità per tornare a trionfare tutti insieme. C’è chi storce la bocca sul gioco. In effetti le squadre di Ancelotti, specie nell’ultimo decennio, non hanno mai espresso un calcio propositivo e attraente. Si è badato più al sodo e alla valorizzazione delle eccellenti individualità. Eppure Carletto aveva iniziato la sua carriera sotto la guida di Arrigo Sacchi, il maestro di Fusignano che aveva rivoluzionato la tattica in Italia, esasperando in chiave offensiva e collettiva il tradizionale 4-4-2. Era stato con lui nello staff tecnico della nazionale azzurra ai mondiali persi ai rigori contro il Brasile. Oggi la sua nuova patria da allenatore. Nel tempo Ancelotti aveva saputo adattarsi, completarsi, osservare le trasformazioni del gioco del calcio, e restare sempre lì. Sul pezzo a comandare. Alla Juve non era andata benissimo e molti ancora oggi ricordano quando faceva giocare il giovane Thierry Henry sulla fascia, poi diventato uno dei più grandi attaccanti della storia della Francia. Forse colpa della troppa attenzione alla tattica. Al Milan era cambiato ed aveva imparato a gestire i grandi campioni. Una crescita culminata con i primi grandi successi: campionato, Champions League. Quindi un girovagare e vincere, sempre. Ovunque. Paris Saint Germain, Bayern Monaco, Real Madrid. E due pit stop: Napoli ed Everton. Per poi iniziare l’era del Real Madrid bis, migliore della prima versione. Nonostante le coppe alzate al cielo ad Ancelotti si continua a criticare il gioco. Vincere è tutto? Sì, ma “troppo facile con i campioni”. Questo si sente dire da alcuni anni da svariati opinionisti pallonari. A fare da copertina la qualificazione conquistata ai danni del Paris Saint Germain nel 2022 con tripletta di Benzema, al termine di una gara che i francesi sembravano dominare e persa per clamorosi episodi nel finale della gara. Di diverso avviso è Alessandro Nesta che oggi fa l’allenatore ma è stato suo giocatore nel Milan: “Ancelotti è l’allenatore più forte, insieme a Ranieri. Quello che hanno loro non si insegna. Hanno una capacità unica di stimolare i giocatori e l’ambiente, una qualità che va oltre la tattica. Quella si può imparare, ma questa dote no. Ce l’hanno dentro. Sono allenatori speciali perché riescono a tirare fuori il meglio da tutti, ovunque vadano”. Ora c’è la prova del nove, che potrebbe essere la risposta definitiva che il calcio cerca da sempre: bel gioco e risultati devono coincidere? Ancelotti, maestro del pragmatismo che insegna calcio in Brasile, dove si calcia il pallone per emozionare e come strumento di gioia collettiva. Riusciranno a stare insieme e a raggiungere l’obiettivo che chiedere la Federazione verdeoro, ovvero vincere il Campionato del Mondo nel 2026 che si giocherà in America. Sulle spiagge di Rio già hanno iniziato a sognare.
