“Con Vagnozzi che è interista, Sinner avrà pure risolto i problemi tecnici, ma non quelli… di cuore sportivo. E questo non lo può certo far vivere tranquillo”. Paolo Bertolucci sul Corriere dello Sport, scherza, ma non troppo, sullo staff del numero uno al mondo, lui che, come Jannik, tifa Milan ma non riesce proprio a trovare pace in questa stagione rossonera. Perché sì, c’è la Coppa Italia, ma a suo dire basterebbe appena a salvare la faccia: “Un brodino, perché il Milan non può essere ottavo o nono in campionato, proprio no”. Nemmeno il fatto che il club non sollevi quella coppa dal 2003 riesce ad addolcire il giudizio: “Vero, ma prima eravamo impegnati in cose un po’ più di alto livello e quindi la Coppa Italia era messa al terzo posto per importanza. Concorrevamo sempre per vincere Champions e scudetto, la Coppa la giocavamo per modo di dire. Invece adesso, da lì si capisce tutto: non siamo più in corsa per altri obiettivi e tutte le energie sono messe lì”.

E nella valutazione della stagione rossonera, quanto pesa che l’Inter aia finalista in Champions League? “Zero. Non si devono guardare gli altri ma a sé stessi, e il rendimento del Milan è stato assolutamente insufficiente. Puoi anche arrivare secondo o terzo, però devi essere competitivo. Il Milan non lo è stato”. C’è un momento preciso in cui ha capito che tutto sarebbe andato a rotoli: “Il 31 agosto, Lazio-Milan, quando ci fu l’ammutinamento di Theo Hernandez e Leao. Guardando quella scena ho detto: lo spogliatoio è spaccato, non ci siamo. E quindi non potremo mai essere competitivi in campionato". Un'immagine chiara, dice, di quelle che nello sport ti fanno già leggere in anticipo il finale della stagione. Quando gli chiedono a chi potrebbe somigliare Sinner nel Milan attuale, la risposta è al vetriolo: “Questa squadra non c’entra niente con Jannik. Dovrebbe esserci uno come Maldini o Baresi, oppure Van Basten. Erano i migliori al mondo nel ruolo in cui giocavano”.

Nessuna indulgenza nemmeno sulla questione dirigenza. Il Milan non ha ancora un direttore sportivo, e Bertolucci fa il suo nome: “Fosse possibile e lui fosse d’accordo, io Sartori lo prenderei al volo. Ha scritto la storia a Verona col Chievo, a Bergamo e la sta scrivendo a Bologna. Mi parlano molto bene anche di D’Amico, anche se non lo conosco bene”. E proprio Bologna è l’unica squadra che, se dovesse battere il Milan nella finale di Coppa Italia, gli renderebbe meno amaro il boccone: “Devo dire che è l’unica avversaria che renderebbe meno forte il dolore in caso di ko. È una società che sta salendo anno dopo anno facendo sempre le cose giuste”. Sulla questione allenatore, è pragmatico: “Credo che abbiano già deciso. Non si può prendere una scelta simile per il risultato di una partita. La valutazione deve essere complessiva: sul lavoro svolto, sui rapporti interni, su ciò che vorrebbe dal mercato. Saremmo al circo se queste valutazioni non fossero già state fatte”. E se davvero sarà addio, lui sa già che tipo di allenatore servirebbe: “Per come siamo messi ultimamente, direi risultatista tutta la vita. Bisogna tornare a vincere qualcosa di importante”.

Poi c’è spazio per un gioco, con una domanda travestita da provocazione: se Leao, Pulisic, Reijnders e Theo Hernandez fossero tennisti, a chi somiglierebbero? “Leao è un po’ uno scialacquatore, come per certi versi lo è anche Alcaraz: grande talento, grandi possibilità, ma gli piace molto divertirsi e divertire, dimenticandosi un po’ del risultato. Reijnders è un Ruud: quando è arrivato non c’erano grandi aspettative, poi ha mostrato solidità e talento. Theo Hernandez lo paragonerei a Fritz, per la grande potenza. E Pulisic a De Minaur: molto intelligente, attento, scaltro, tra i primi dieci al mondo, ma gli manca quel quid per entrare tra i grandissimi”. Chiusura dedicata a San Siro, tra storia e futuro. “È una necessità. È allucinante che in Europa due squadre così importanti non abbiano lo stadio di proprietà. Noi siamo indietro su tutto. Gli altri sono scappati via e noi dobbiamo accettare di prendere pure gli scarti dagli altri campionati, come facciamo ormai regolarmente”. Tra calcio e tennis, tra ironie e bordate, tra sogni che restano vivi e realtà che fanno male. Bertolucci guarda il presente del Milan con occhi critici. E forse, un po’, con la nostalgia di chi ha visto la grandezza e non si rassegna al “brodino”.