Ti svegli dopo aver dormito letteralmente di merda e ti chiedi perché tu sia nata interista. Non potevo essere tifosa del Lecce, della Cremonese, del Pro Vercelli? Non che queste squadre abbiano qualcosa in meno rispetto all’Inter, ma noi siamo destinati a vincere. Invece no, abbiamo perso il secondo derby dell’anno, il derby della finale di Supercoppa, e ora i milanisti sono usciti dai tombini. Loro non sanno cosa sia la classe. Classe che avrebbero dovuto imparare da Federico Dimarco quando, alzandogli lo scudetto con la seconda stella in faccia, ha chiesto ai nerazzurri di non sfottere l'avversario ma di godersi il momento. Noi gioiamo solo dei nostri successi, non abbiamo bisogno di meme tristi, dei balletti di Sérgio Conceição (gran figo, ma se sei su quella panchina non ti vedo più come uomo), ci basta il campo. Questa volta il campo non ha parlato nerazzurro, ha scelto di essere clemente con la terza squadra di Milano. Non la seconda, perché prima c’è la primavera dell’Inter, come insegna il grande Peppino Prisco. Mi hanno inondato di messaggi, chiamate di sfottò, avrei solo voluto lanciare il telefono, non rispondere, fingere che quel giorno non ci fosse. Invece no, ho risposto e ho abbozzato. Poi ti svegli e hai il volto di Lautaro fisso in mente.
Il volto del tuo capitano che si è sbloccato, che ha segnato un gol meraviglioso, che sta cercando di uscire da un momento complicato e che ce l’ha messa tutta. Lacrima. Si può piangere per il calcio? Sì, perché è l’amore più sincero, viscerale, forte, grande che si possa avere. È brivido, pathos, ma anche dolore. Perché per i tuoi colori, quei colori che non cambi, ti faresti sparare. Non mi capiscono, pensano che esageri, ma è così, è vita, amore incondizionato, ciò su cui baso tutto il resto. Il fatto che festeggiano come se avessero vinto lo scudetto ci fa capire quanto ci soffrano, perché per loro il range è quello, il massimo a cui possono aspirare è provare a rifarsi si anni e anni di sconfitte e umiliazioni. Gli abbiamo dato il biscottino, amarissimo, ma segnatevi il 5 febbraio, data in cui con un'enorme garra charrua li asfalteremo in casa loro per il derby di campionato. Poi c’è l’ipotesi di incontrarli in semifinale di Coppa Italia, e se conosco il dna interista saremo così incazzati che dovranno mettere un pullman davanti la porta di Maignan (gran portiere).
Oggi l’interista vero non dice niente su Simone Inzaghi, un uomo che non fa il piangina davanti alle telecamere ma si prendere le proprie responsabilità, ammette gli errori, ammette che fa male, che fa un cazzo di male. Non fa il Gasperini, non ne ha bisogno perché è un signore. Noi abbiamo Marotta, non Cardinale che per far vedere che tornano i conti del Milan attacca l’Inter, come giustamente ha ricordato Fabrizio Biasin su MOW. Brucia, ma poi realizzi anche chi è l’avversario. Lo quoti e provi anche un po’ di pena. Pena per chi raccoglie le briciole di quando non ce l’hai fatta tu. Abbiamo sbagliato, e questo ci serva da lezione per andare ancora più a testa alta, per avere quella voglia di rivalsa che abbiamo nel nostro patrimonio genetico. “Pazza Inter” non è solo una canzone, è uno stile di vita, e so, perché non potrebbe essere altrimenti, che chi veste quella maglia ora sta male. Giusto, sano, non scontato. Non è giorno per le critiche, quelle lasciamole a chi è passato da “Pioli is on fire” a volerlo fuori di Milanello, poi a sperare in Fonseca, poi a mitizzare in tre giorni Conceição. Sono questo, noi dobbiamo distinguerci. Perché siamo l’Inter cazzo. E sì, sto piangendo mentre scrivo, ma lo dovevo ai miei colori.