Calcio e soldi come il cacio sui maccheroni. Una cosa non può fare a meno dell’altra? E non parliamo dei milioni di euro di stipendio delle star della Serie A, ma di assegni e buste con contanti che girano nelle sedi delle società di provincia. Una filiera che vende sogni fittizi e poco ha a che fare con lo sport. È il sistema smascherato dal giornalista emiliano Luca Sgarbi, inviato de Le Iene, con il servizio che mostra la faccia peggiore del mondo del pallone del nostro paese. Immagini che lasciano amarezza e spiegano perché in Italia non nascono più talenti.
“Mi ero già occupato del lato oscuro del calcio a Non è l’Arena di Giletti - spiega il giornalista, che abbiamo intervistato - ma non ero mai arrivato in fondo alla questione. In questo caso le immagini sono incontrovertibili e abbiamo documentato addirittura la consegna della busta con i soldi nelle mani dei dirigenti della società e dell’ex calciatore professionista, campione d’Italia con il Napoli, Salvatore Bagni”.

Luca Sgarbi, per Le Iene, ha costruito il servizio fingendosi il fratello di un ragazzo che sogna di diventare calciatore e si è informato per poterlo tesserare in una società professionistica, in questo caso la Vis Pesaro. Si è rivolto a Bagni che, in questo caso opera da intermediario, e la trattativa si è chiusa in poche battute: paghi e si fa tutto, quello che vuoi. Addirittura, come emerge dalle riprese catturate, il dirigente della società contattato dall’ex centrocampista della Nazionale, avrebbe potuto assicurare anche un certo numero di partite da titolare al ragazzo.
“Ciò che colpisce è la nonchalance con la quale operano queste persone. Come se tutto fosse normale, perché tale sistema è la prassi nel calcio e chi ne fa parte, in qualche modo, dovrebbe accettarlo”.
Qual è stato lo spunto che ti ha convinto a realizzare questo servizio per le Iene?
“Erano già un po’ di anni che seguivo le vicende più oscure del sistema calcio. Questo servizio nello specifico è stato spinto dalla volontà di capire perché in Italia dal 1930 al 2006 siano nati tantissimi calciatori di immenso valore mentre negli ultimi 20 anni abbiamo avuto pochissimi razzi nella lista del Pallone d’Oro”.
Credi che la difficoltà a sviluppare talenti sia direttamente connessa con un sistema calcio inquinato da soldi, favori e mazzette che non favorisce il principio del merito?
“In un sistema malato non si pensa a costruire i calciatori del futuro, ma solo ai soldi. Fino a quando ci saranno genitori disposti a pagare chiedendo di far giocare il figlio, addirittura assicurandosi che possa fare abbastanza partite titolare, ci sarà meno posto per altri che meritano ma che non hanno famiglie alle spalle con i soldi. E la questione è anche più profonda e riguarda le società”.
Spiegaci meglio.
“Per molte società di calcio, costruire il settore giovanile non è un progetto che nasce dal principio di costruire nuovi atleti, ma un obbligo o un’opportunità per reperire fondi dalla Lega Calcio. Quindi vengono alla luce strutture che non stanno in piedi, portate avanti da persone poco competenti, con istruttori di calcio non preparati e senza ambizioni che di base si sviluppano sui valori dello sport. Quello che conta, molto spesso, è trovare i soldi. Ed è qui che si crea il sistema che abbiamo visto anche nel servizio che ho realizzato”.
Cioè che i genitori pagano per far giocare i figli?
“Sì, e il metodo è duplice. O il genitore paga direttamente figure intermedie che si presentano come talent scout e dirigenti, oppure si possono dare soldi alla società attraverso sponsorizzazioni. Come puoi capire anche la formula della sponsorizzazione, che di fondo non avrebbe niente di illecito, si posiziona su un confine molto sottile, perché se il papà imprenditore effettua un bonifico sostanzioso alla piccola squadra di provincia, comunque può influenzare il percorso del figlio. Dipende ovviamente dai principi che muovono le scelte di chi dirige queste società”.

Nel servizio de “Le Iene” consegni una busta piena di soldi a Salvatore Bagni ed era pronta anche quella da dare al dirigente. Cose che hanno poco che fare con le sponsorizzazioni.
“È stato un caso ancora più estremo, ma non pensare sia un’eccezione. Si nota anche dalla tranquillità con la quale mi spiegavano le cose da fare, ribadendo più volte che «funziona così», «lo sanno tutti» anche quando mi assicuravano che avrebbero parlato con l’allenatore per far giocare titolare mio fratello. E nella trattativa c’era anche la possibilità di una sponsorizzazione”.
In totale quanti soldi ti è costato tesserare tuo fratello immaginario nel settore giovanile di una società professionistica?
“50 mila euro. Somma importante che per una famiglia di normali può rappresentare i risparmi di una vita intera”.
Dopo la messa in onda del servizio in tv Bagni e la Vis Pesaro hanno provato a difendersi?
“No. Solo la società di calcio si era fatta sentire annunciando che ci avrebbero chiesto il girato, ma di fronte a fatti così evidenti penso ci si poco da eccepire”.
Mentre famiglie finite in questo meccanismo ti hanno scritto?
“Sì, con la redazione de Le Iene abbiamo raccolto tantissime testimonianze di famiglie che hanno pagato per far giocare figli a calcio. Emergono storie di persone che, in seguito, hanno dovuto affrontare anche tanti problemi. Debiti, aziende chiude e anche peggio”.
Ci fai capire che non finisce qui la tua inchiesta.
“No, per questa stagione abbiamo ancora due storie pesanti. Una va in onda stasera, martedì 27 maggio. L’altra, la puntata successiva, poi riprenderemo la prossima stagione. Nel lato oscuro del calcio c’è ancora molto materiale, è come Tangentopoli nel ’92. In questo caso in mezzo ci sono società sportive, famiglie e sogni di bambini”.
