C’era una volta la telecronaca. Iniziamo così, con un’espressione semplice e rassegnata, facebookiana. Non vogliamo essere noiosi e inutilmente polemici, ma l’analisi è necessaria. Il calcio è cambiato. Tutto passa dalla tv che, ogni giorno a ogni ora, ci riempie la vita di partite, nella confusionaria frenesia di una ruotine altrimenti piegata ai ritmi del lavoro. Assistiamo al mutamento di uno sport, ormai sulla stessa timeline dello show, al pari di una serie su Netflix o un match di Wrestling. Un calderone che rischia di aggrovigliarsi intorno a se stesso. Come le parole di chi le partite le racconta, sempre meno inclini all’informazione, ridondanti, soporifere. Diciamolo: Pierluigi Pardo, voce della serie A di Dazn, è tutto questo. La metamorfosi della telecronaca diventata intrattenimento. Un eccesso di aggettivi e congiunzioni che inizia a stancarci.

Eppure c’è stato un tempo in cui Pardo rappresentava un’ alternativa, fresca, quasi rivoluzionaria rispetto alla liturgia delle telecronache calcistiche italiane. Il suo tono energico, il linguaggio diretto che strizzava l’occhio ai più giovani con esercizi di stile americaneggianti e la capacità di coinvolgere lo spettatore, sembravano la ricetta per elevare un approccio che fino ad allora appariva spesso ingessato. Poi il successo personale, l’approdo a Mediaset e la presenza in video da showman, sembrano averne cambiato l’identità. Così tanto che, con il passare degli anni, quella che era una cifra stilistica apparentemente originale si è trasformata in un boomerang: oggi le sue telecronache appaiono sbilanciate verso lo spettacolo a scapito dell’informazione.

Il telecronista è una professione che non ha scuola. Dagli anni 50 si è evoluta intorno ai riferimenti di ogni generazione: Carosio, Martellini, Pizzul e così via. Esiste per prendere per mano lo spettatore porgergli la certificazione di quello che sta vedendo. E’ vero che ognuno, al microfono, esprime la sua vita, le sue idee, la sua lettura del reale, ma quando si supera un confine rischia di diventare fastidioso. Aldo Grasso scriveva che la paura che accomuna tutti i telecronisti è il silenzio. Il terrore di lasciare lo spettatore solo con se stesso. Ed è qui che si sviluppa il loro desiderio di creare suggestioni, disegnare l’immaginazione, generare una parodia. Ma a volte parlano troppo e si parlano addosso. Pardo sembra preferire l’effetto speciale alla sostanza, con il rischio di trasformare il coinvolgente in rumoroso. Bella sì l’introduzione all’ultima partita dello scorso campionato dove si celebrava lo scudetto del Napoli. Fighi i riferimenti a Liberato, Bansky e Dalisi, ma a volte ne faremo anche a meno. Torniamo a ciò che dovrebbe essere una telecronaca: chiarezza, informazione e lettura del gioco.
