Le tante emozioni delle prime volte, poi un inizio difficilissimo, perché i primi quattro appuntamenti con la tuta Ferrari di Lewis Hamilton sono stati complicati, molto più del previsto. Aveva ripetuto a gran voce di doversi abituare a un ambiente nuovo, ancor prima che a una macchina nuova. Cultura, persone, procedure tutte da conoscere, in una Formula 1 che però corre veloce: eppure, quasi nessuno si sarebbe immaginato di vederlo faticare così tanto e, se una reazione non dovesse arrivare presto, l'etichetta del bollito è già pronta.

Solo due lampi, nella “sua” Shanghai: una pole e una vittoria, e poco conta se entrambe valessero solo per la Sprint. Erano le prime “indimenticabili” gioie in rosso, così definite appena sceso dalla vettura: due segnali forti dopo l’inizio disastroso di Melbourne, ben lontano dall’essere l’esordio da sogno che tutti, Sir Lewis compreso, sognavano. Sembrava quello il vero inizio dell’avventura tra Hamilton e la Ferrari, ma ad oggi, quei due lampi sono rimasti gli unici di questo avvio di Mondiale, complice un feeling finora non sbocciato con la SF-25. In difficoltà a Suzuka così come in Bahrain e lontano da Charles Leclerc, spesso sembrato di un altro pianeta. Una situazione dura da affrontare, tanto che incassata l’ultima delle delusioni al termine delle qualifiche di Sakhir, il sette volte campione del Mondo, a testa bassa, non ha fatto altro che chiedere scusa alla Scuderia e a tutti i tifosi. Un bilancio negativo in momento tutt’altro che facile per l’intera squadra, con un’unica grande verità: senza una reazione forte, nel giro di due o tre gare Hamilton passerà dall’essere considerato l’eroe che avrebbe riportato in alto la Scuderia al solito “bollito” di turno, perché d’altronde da queste parti spesso funziona così. Basta poco per non andar più bene, non considerando però tutto quello che c’è dietro, così come basta ancor meno per ritornare sui propri passi, in un continuo sali e scendi dal carro dei vincitori. Comprensibile o meno con i tifosi, e non solo, è così, senza dimenticare che prima di diventare leggenda persino al tanto osannato Michael Schumacher era stato riservato lo stesso trattamento.

Sono passate solo quattro gare, eppure il processo è già iniziato, dimenticando però come lo stesso Hamilton, pur di avverare l’ultimo dei suoi sogni, abbia messo da parte tutte le sue certezze. Ha lasciato la scuderia che l’ha fatto diventare il più grande della storia per una che non vince da ormai 17 anni, un’ultima grande sfida, l’ultimo tassello da aggiungere a una carriera i cui numeri parlano da soli: 105 vittorie, 104 pole position e sette titoli Mondiali conquistati. Poteva dire addio, e invece no, perché essere il migliore di tutti è ancora il suo grande obiettivo e tornare ad affermarsi con la Ferrari sarebbe un'impresa impareggiabile. Un perfezionista abituato a vincere, così avanti che alle prime critiche aveva già risposto.“Non potete mettermi a confronto con i miei coetanei, con nessun altro pilota di Formula 1 che ha 40 anni, né del presente, né del passato” aveva detto al Time. “Non c’entrano niente con me: io ho fame, obiettivi, non ho né moglie né figli. Sono concentrato solo su una cosa e quella è vincere. È la mia priorità numero 1”. Nient’altro da aggiungere, con la certezza che, in un modo o nell’altro, una risposta in pista arriverà presto.

