A Madrid, Aryna Sabalenka si presenta con il sorriso di chi il torneo l’ha già vinto due volte, 2021 e 2023, finalista l’anno scorso, ma anche con lo sguardo teso di chi sa di essere in trincea. Non solo per il titolo, ma per una battaglia che oggi non si gioca più solo tra le righe del campo. Il vero avversario è invisibile, insidioso, e ti colpisce quando meno te lo aspetti: si chiama doping involontario, contaminazione accidentale, panico da positività. Se ne parla poco, ma il clima tra i big della racchetta è ai minimi storici quanto a fiducia nel sistema. Il caso Sinner ha fatto più rumore di mille match point annullati, e se l’Italia sogna la rivincita, nel circuito l’aria è cambiata. Aryna Sabalenka lo dice: “Quello che è successo mi ha reso molto più attenta e consapevole del pericolo che corriamo noi tennisti. Dopo gli ultimi casi che tutti conosciamo è aumentata questa percezione da parte nostra”.

Non è solo una questione di attenzione: è diventata un’ossessione che la segue anche lontano dai riflettori. “Bevo e mangio solo cose che sono riuscita a controllare il più possibile e che il mio team mi ha dato. Faccio molta attenzione alle persone che frequento e con le quali mi può capitare di entrare in contatto”. La paranoia non è più una deviazione, perché “qualcuno potrebbe avere una crema che contiene una sostanza vietata e potrebbe in qualche modo entrare nel mio corpo. E questa cosa la trovo piuttosto spaventosa… ma purtroppo è così”. Non c’è più spazio per la leggerezza. Basta un dettaglio, un errore, una contaminazione anche minima, per trasformare un campione in un caso da prima pagina, per polverizzare reputazione e carriera. Non basta più la preparazione atletica, non basta la testa, il fisico, il talento: serve il controllo maniacale di ogni dettaglio, di ogni gesto, di ogni persona che entra nella tua orbita.

Sabalenka poi ribadisce che “il sistema di cui facciamo parte non offre opportune garanzie”. L’incubo è concreto. Non basta più stare attenti, bisogna vivere come se tutto potesse diventare un rischio, ogni bottiglietta, ogni momento nello spogliatoio. E allora Madrid, per Aryna, è il torneo della paura sottile, della consapevolezza che oggi la vera partita si gioca tra chi riesce a difendersi anche da ciò che non vede, da un sistema che non protegge, da una pressione che non molla mai la presa. Perché oggi, dice la numero uno del mondo, “il tennis fa più paura di qualunque avversario in tabellone”. E forse, per i nuovi campioni, è proprio questa la vera sfida.