E niente, la polemica sul gender fap non poteva mancare nemmeno durante il Roland Garros, e lanciarla in Italia ci ha pensato Il Domani: troppe partite maschili in prime time, troppo poco spazio alle donne. Una riflessione che parte da Saint-Exupéry, passa per Whoopi Goldberg e arriva fino ai “cinque pilastri” del CIO. Ma dimentica una cosa semplice e concreta: non è la filosofia dei palinsesti a decidere chi gioca la sera. È il mercato. È lo spettacolo. È la gente. La Night Session, la partita serale del giorno sul Centrale, non nasce per risolvere l’eventuale gender gap nel tennis, ma per garantire il massimo ritorno economico: biglietti venduti, sponsor soddisfatti, ascolti televisivi. In una parola: attenzione. E chi finisce lì, in quella fascia oraria, dev’essere garanzia di hype, pathos, tensione. Deve spingere gli spettatori ad accendere la Tv o a restare sugli spalti fino a mezzanotte. È una questione di attrattività. Non di genere.

Dal 2021 a oggi, solo 4 match su 43 in prima serata sono stati femminili. E la spiegazione non è nell’“ingiustizia”. Sta nei numeri. Perché se davvero le partite femminili interessassero quanto o più di quelle maschili, avrebbero già più share, più ascolti, più biglietti venduti. E questo accadrebbe per una ragione decisiva: il pubblico femminile è la metà, se non di più, degli spettatori. Eppure, anche le molte donne, evidentemente, preferiscono guardare gli uomini. È questo il punto. Il “bias” non è negli organizzatori. È nella domanda reale, un basilare principio economico. È nel fatto che oggi, nel 2025, una semifinale tra Alcaraz e Sinner coinvolge molto più pubblico, anche femminile, di una sfida tra Swiatek e Garcia. Non per mancanza di rispetto. Ma per struttura, per velocità, per rivalità, per spettacolo. Il tennis maschile, semplicemente, oggi offre match più combattuti, protagonisti più iconici. E il pubblico risponde. Ma c’è di più: non è sessismo voler vedere la partita che offre più emozione, più equilibrio, più imprevedibilità, più tecnica, più potenza, più spettacolo. È desiderio di sport. Ed è paradossale che, in nome della parità, si pretenda di assegnare il prime time non al match più atteso, ma a quello “giusto”, secondo un metro ideologico. Non è sport. È propaganda.

E poi diciamolo: giocare la sera non è neppure questo privilegio dorato. Chi va in campo alle 21 sa benissimo che può finire dopo la mezzanotte, con mezza Europa già a letto e una stanchezza maggiore da dover recuperare. Molti giocatori, uomini e donne, preferirebbero giocare alle 14. In ogni caso, gli spettatori pagano. Gli sponsor investono. Gli organizzatori rispondono al mercato. Non a chi, dal salotto connesso, scrive editoriali indignati. E no, non è vero che il tennis femminile è “relegato”: è già visibilissimo, strapagato, trasmesso ovunque. Il tennis femminile non è nascosto. È ovunque. Ma il palcoscenico principale deve andare a chi può reggerlo e sfruttarlo, monetizzarlo al meglio. E attenzione: il tennis femminile gode già degli stessi premi di quello maschile. A ogni turno, singolare o doppio, uomini e donne ricevono identico montepremi, nonostante sia oggettivamente più visto, seguito e trasmesso il tabellone maschile. Questa è parità. Perché quando paghi centinaia di euro per un biglietto serale o milioni per uno spot da 30 secondi, vuoi essere certo che la partita tenga incollato il pubblico. E se oggi a garantirlo è Rune-Tiafoe invece che Swiatek-Raducanu, la scelta è tecnica, commerciale, televisiva. Non culturale. Ma anche questo sembra non bastare e dover fare una polemica sul nulla pur di fingerci inclusivi.

E per essere chiari fino in fondo: se davvero le partite femminili fossero più interessanti, o anche solo altrettanto interessanti, lo avremmo già visto nei dati. Lo share parlerebbe chiaro. I biglietti andrebbero esauriti. Gli sponsor cambierebbero approccio da soli, senza bisogno di firme scandalizzate. Questa realtà non si ribalta a colpi di retorica o con la spinta forzata dell'inclusività. Si cambia se il tennis femminile, dentro al campo, diventa imprescindibile. Se genera attesa, adrenalina, passione. Se trasforma le Swiatek, le Sabalenka, le Rybakina in personaggi che la sera vuoi vedere a tutti i costi. Fino ad allora, la sera sarà maschile. Non per colpa. Ma per scelta. E per merito. Perché, se qualcuno se lo fosse dimenticato non è il genere a fare da padrone. O meglio, non dovrebbe. Ma ciò di cui avremmo un fottuto bisogno è adottare come slogan l’unico che non esclude: la meritocrazia.