Un anno da re, per davvero. Jannik Sinner raggiunge ufficialmente le 52 settimane consecutive da numero 1 del mondo: un dominio mai messo in discussione, che lo inserisce in un club ristrettissimo, dove prima di lui avevano trovato posto solo leggende come Federer (237 settimane), Connors (160), Hewitt (75) e Djokovic (53). Ma quel che impressiona, più che la durata, è l’inerzia. Perché Sinner non si limita a restare: avanza, muta, si perfeziona. È già stato tutto, ma si comporta come se non bastasse mai. E ora, a Parigi, la missione è netta: vincere il Roland Garros. Ma c’è un dettaglio: per la prima volta da tempo, il centro del racconto non è solo suo. Perché proprio mentre la Volpe Rossa si prepara a sfidare Rublev (“un giocatore ostico, esperto, sarà difficile affrontarlo”, ha detto Jannik) un altro italiano si prende la scena. Lorenzo Musetti è ai quarti di finale del Roland Garros per la prima volta in carriera, e lo fa piegando Rune in quattro set con una maturità nuova, mai vista. Da talento intermittente a giocatore completo, consapevole. “Sono molto orgoglioso del percorso che mi ha portato a questa vittoria. Dopo Montecarlo è scattato qualcosa: ora so cosa devo fare, e come farlo”, ha dichiarato.

Il duello, sottotraccia, ma chiarissimo, si consuma tutto tra Musetti e Sinner, i due destini intrecciati del tennis italiano. Non si somigliano, non si rincorrono, ma si osservano. Jannik è la macchina perfetta, il corpo allenato al dettaglio anche nei tre mesi di squalifica per il caso Clostebol, dove ha lavorato sulla resistenza, sul servizio, sulla posizione in risposta. “Andrey è un test duro, ma io sono pronto” ha ribadito. E infatti è l’unico giocatore ad aver raggiunto almeno gli ottavi in ciascuno degli ultimi otto Slam. Lorenzo, invece, ha la fame di chi non ha più tempo da perdere. “Ora entro in campo sapendo di poter battere chiunque. È la consapevolezza che mi mancava. L’ordine, la lucidità, ora so trasformare il talento in qualcosa di concreto”, ha spiegato dopo il successo contro il danese.
Il tutto con il suo coach di sempre, Simone Tartarini, che ora lo accompagna da numero 7 del mondo. “Lorenzo aveva il tennis da top 10, ma gli mancava la continuità. Dopo Montecarlo era chiaro che la direzione fosse quella giusta” ha detto l’allenatore. Mentre Djokovic fa i conti con il tempo e Zverev rincorre l’ultima chiamata, i due azzurri si issano sulla vetta del tennis mondiale da percorsi opposti, ma paralleli. Uno già re, l’altro principe in ascesa. Uno ossessivo nella costruzione di sé, l’altro risorto da dentro. Entrambi oggi simbolo di un tennis italiano mai così forte, così competitivo, così pronto. Lo stress test del Roland Garros è appena cominciato. E la vera domanda, adesso, è chi resta davvero al centro della scena.