“Dovi c’è! Dovi c’è! Dovi c’è! Dovi c’è… e ci sarà sempre. Grazie Dovi”. Non l’ha detto in telecronaca Guido Meda, non così almeno. Se l’è tenuto per la sera, quando gli amici di Andrea gli hanno dato in mano il microfono del vocalist chiedendogli di farlo sui 130 BPM. Siamo in un locale della riviera, è l’ultima notte di Andrea Dovizioso da pilota MotoGP. Lui ride, sudato, la camicia a cui ad un certo punto rimangono solo le maniche. Balla. Attorno ha centinaia di persone con cui ha incrociato la sua carriera.
Lasciare così è una fortuna di pochi perché non si può comprare, ordinare o pretendere l’affetto degli altri. Eppure tutti erano lì, da Livio Suppo a Davide Tardozzi, dagli ingegneri giapponesi ai piloti, tutti lì nonostante la techno a volumi da riviera romagnola. Tutti lì per il Dovi, che ancora prima dell’amore dei tifosi si è guadagnato quello del paddock, della gente che lo conosce meglio. gente che è rimasta con lui fino alle 4 di mattina.
24 ore prima invece, Andrea deve correre la sua ultima gara in MotoGP. L’ultima davvero, dopo aver corso per 21 anni senza mai saltarne una. La pista: Misano, dove ha debuttato. La moto: la Yamaha che ha sognato per anni, quando guidava una Ducati che ne era l’opposto. Attorno: la sua gente, i giornalisti, gli altri piloti, la famiglia. Il giorno: lo zeroquattro. C’è l’impulso di dirgli qualcosa ad Andrea, di dirgli grazie. Non di rubare un pezzetto della sua storia o di vendere il suo personaggio al pubblico. Anche perché quel personaggio lui non l’ha venduto mai, non ci ha mai neanche provato. Sarebbe stato come farsi una violenza, cosa che lui spesso si faceva già per scendere in pista: se non vinci è una tortura. A filtri e plastiche Dovizioso ha preferito la sua faccia, le sbavature, il broncio quando c’è da avere il broncio. Anche se poi, a vederlo in questi giorni a Misano, Andrea è uno che ride, con la battuta veloce e gli occhi accesi. All’ultima domanda in conferenza stampa, quando gli chiedono se c’è qualcosa che proprio non gli mancherà, risponde i titoli dei giornali: “Che poi per voi giornalisti è sempre colpa di un altro. E poi…”, e poi Andrea ci ripensa: “Fammi stare zitto dai, che va a finire che mi sputtano adesso dopo vent’anni”. Risate. Lui parla seduto su di un tavolo perché c’era tanta pressione che non è riuscito nemmeno ad arrivare alla scrivania da cui normalmente parlano i piloti. Il che inevitabilmente te lo fa sentire più vicino.
Personalmente ci ho messo un bel po’ a capire Andrea Dovizioso. Era l’altro lato di quel motociclismo che usciva dalla televisione con Valentino Rossi e Marco Simoncelli, il lato pulito e senza sorprese. Come un cantautore italiano a confronto con il rock britannico, meno riff e più parole. Dei cantautori te ne innamori quando cresci perché prima apprezzi solo il casino e l'eccesso, questa è la mia conclusione. Quando succede ti dici che ci sei arrivato tardi, che ti sei perso qualcosa, che l'eccesso, i cantautori bravi, sanno raccontarlo anche meglio. Al suo ultimo ingresso ai box ci sono gli amici con le bandiere, Razali che lo aspetta alla porta. 26 giri e poi l’ultimo. Un giro vissuto, come dice lui, in linea col personaggio: “Alla fine del T1 ho visto che stavo facendo il miglior tempo, quindi ho pensato a fare il giro veloce. Poi però volevo anche godermelo, così ho fatto un po’ uno e un po’ l’altro. E il tempo non è uscito”. Nel giro d’onore si ferma alla Curva del Carro, dove nel frattempo è stata organizzata un’invasione di pista degli amici più stretti. Tra gli altri, ci sono Lorenzo Baldassarri e Alex Gramigni. Andrea lascia la moto ai commissari, abbraccia un po’ tutti, si leva il casco. Poi si stacca le saponette, le firma, le lancia. Firma i guanti, lancia anche quelli. La gente urla il suo nome, lui si fa spingere per ripartire. A un commissario dice ridendo: “Ma che hai mangiato a pranzo?” perché stanno correndo troppo piano e la sua M1 non parte più, si è ritirata anche lei.
Se Andrea è arrivato a fare questa carriera è grazie a sé stesso, a suo padre, ma pure a Simone Battistella. Di lui dicono che sia l’unica brava persona tra i manager della MotoGP. L’unico che non prova a fotterti. Se Andrea si è giocato almeno un paio di titoli con Marc Marquez è anche merito suo. E Simone, da settimane, si sbatte per far girare l’hashtag #GrazieDovi, ripercorre la carriera del suo pilota, si emoziona. È tutto vero. Comunque, cose che si sapevano. La festa di Andrea Dovizioso invece, quella non ce la si poteva aspettare così. Comincia con una cena, poi arriva la musica. È un flusso continuo di gente che arriva, lo abbraccia, prende da bere, lo abbraccia più forte. Elencarli tutti sarebbe impossibile, tanto che tornando verso l'albergo registro un vocale nel telefono con i nomi di chi c'era: è un messaggio un po' strascicato di oltre quattro minuti. A ballare dopo trent'anni nel motomondiale anche Ramón Forcada che si ritira con lui. Gli amici del Dovi hanno chiamato i deejay di Metempsicosi, Ricky Le Roy e Mario Più, le stesse persone che tra fine anni novanta e i primi duemila hanno fatto la storia del clubbing con DJ Franchino. Erano i primi anni di quel carrozzone a benzina per Andrea, che correva e vinceva con le due tempi. Presa coscienza del fatto che Stefan Bradl fa la fila sbagliata per prendere i cocktail e che tra giornalisti e Team Manager ci sono più ballerini di quanto lascerebbe intendere un weekend di gara, la serata è proprio come la farebbe un ventenne, leggera e funzionale, poche pugnette. Non c’è traccia di quell’opulenza da calciatore, di quelle esagerazioni che ti fanno pensare che gli sportivi di successo non sappiano niente della vita. È una festa autentica, nemmeno un po' di snobismo. Gli amici gli vogliono un bene dell'anima, qualcuno è commosso. Dovi la vita l’ha spiegata un po’ a tutti e adesso dice venite, vi offro da bere, ballate. C’è tutta la roba che mi ascolto prima di una gara, quella musica elettronica che bastona le orecchie ma è sempre gentile. Guido io, la musica la scelgo io, la musica è in linea col personaggio. Sotto la console c’è un palchetto rialzato, Dovi balla con gli amici, volano maglie e camicie. Sudore, urla, graffi, le - mani - aaa - tempooo.
Sarà la musica che ha scelto, sarà l’atmosfera. Sarà che finito il GP, la magia di Riccione. È difficile dirlo. Questa notte è una serata da fine liceo, dopo gli esami di maturità, quando non pensi più a come è andata ma soltanto alla libertà che ti sei conquistato. Senza obblighi, impegni, convenzioni e costrizioni. La scuola è finita per Andrea Dovizioso. È finita e, da domani, un altro al posto suo sarebbe chiamato a diventare adulto, a crescere. Non Andrea però, che quello l’ha già fatto diventando padre a 23 anni, incassando delusioni, lottando per vincere contro i migliori della storia e raccontando sé stesso, umano, quando la gente voleva parlare di un divo. La vita a lui ha chiesto molto, moltissimo. Ma un po’ alla volta gli sta restituendo tutto. A partire da quelle moto che, in un modo o nell’altro, si porterà addosso per sempre.