La vita di un campione è una storia scritta su un filo teso, e ormai Jannik Sinner lo sa bene. Questo ragazzo sta affrontando una delle prove più complesse della sua già ricca ma ancora giovane carriera. Mentre il mondo del tennis si gode il (relativo) riposo invernale e pianifica la nuova stagione, l’ombra del ricorso al Tas (Tribunale Arbitrale dello Sport) sul presunto doping turba l’orizzonte del numero uno del mondo. Eppure, Jannik tace. Un silenzio che pesa, ma che parla.
A Dubai, dove la modernità oscura ogni tradizione e convenzione, tra allenamenti intensi e palloni calciati sulla sabbia Sinner prepara il 2025, una stagione che promette gloria, ma che potrebbe essere macchiata da un paradosso giudiziario. Il caso Clostebol è ormai noto: un miliardesimo di grammo della sostanza proibita è bastato a far scattare l’allarme. Una quantità talmente esigua che sembra sfidare il senso comune, soprattutto alla luce della spiegazione fornita dal team Sinner: contaminazione indiretta, un fisioterapista, una pomata cicatrizzante e un errore umano, non da parte dell’atleta.
Ma la Wada, l’ente mondiale antidoping, non arretra, nonostante si stia preparando a cambiare le norme che al momento potrebbero condannare Jannik. Olivier Niggli, il direttore generale, ha ribadito con fermezza la posizione dell’organizzazione: “Nella decisione della Itia (assoluzione, ndr) si è ritenuto che non vi fosse alcuna colpa di Sinner. La nostra posizione, invece, è che esiste ancora una responsabilità dell’atleta nei confronti di coloro che lo circondano e che lavorano con lui”. Non solo. Ha aggiunto: “Non contestiamo il fatto che possa essersi trattato di contaminazione, ma riteniamo che l’applicazione delle norme non corrisponda alla giurisprudenza”. Parole nette, che rilanciano il caso sul tavolo del Tas e accendono interrogativi sulla rigidità delle regole attuali.
Il futuro incerto
Lo stesso Niggli, parlando a France Presse, aveva appunto ammesso le difficoltà del sistema com’è ora: “Oggi esiste un problema di contaminazione. Questo non significa che ci siano più casi del genere rispetto al passato, il fatto è che i laboratori sono più efficienti nel rilevare anche livelli infinitesimali di sostanza”. E qui l’ammissione che spiazza: “Le quantità sono così piccole che ci si può contaminare facendo cose innocue”.
Quelle “cose innocue” sembrano evocare direttamente il caso di Jannik, trovato positivo a marzo per una traccia infinitesimale di Clostebol, derivata – come confermato dalle indagini – dall’uso di un prodotto cicatrizzante da parte del fisioterapista Giacomo Naldi. Un evento fortuito, quasi tragicomico, che però rischia di mettere in discussione la carriera e la reputazione del giovane altoatesino. Eppure la stessa Wada ha ritenuto di procedere col ricorso.
Nel frattempo, Jannik continua a lavorare. Le immagini che arrivano dai social raccontano di un ragazzo sereno, immerso nel suo universo fatto di sudore e speranze. La pre-season a Dubai è la sua oasi, ma non è sufficiente a spegnere le domande: come finirà questa vicenda? Riuscirà il Tas a riconoscere la sostanza dietro le quantità microscopiche di sostanzai e a ristabilire un equilibrio tra le regole e il buon senso?
In attesa del verdetto, Sinner tiene fede al suo spirito: “Durante questo processo ci sono state tre separate udienze a confermare la mia innocenza”, aveva dichiarato. “Capisco che queste vicende debbano essere accuratamente investigate per mantenere l’integrità dello sport che amiamo. Sono fiducioso che il risultato sarà lo stesso. So solo che non ho niente da nascondere”.
La spada di Damocle del caso Clostebol resta sospesa sul suo capo, ma Jannik non abbassa la testa.