Il disagio si porta tantissimo. Sta bene su tutto. Il disagio fa tendenza. Sfila. Dai testi rap e trap alle foto sui social. Se non hai il disagio non sei nessuno. Le foto col disagio, i testi sul disagio, i video del disagio. Martina Colombari, parlando in una intervista del figlio Achille, avuto con Alessandro Costacurta nel 2004, ha detto: “Deve capire cosa fare da grande. Studiare o lavorare. Non seguirà le orme del padre, né le mie. Vedremo”. Sembra, invece, che Achille sappia benissimo cosa fare: il disagio. Il disagio sui social. Ma anche il modello, il modello con le guance in dentro e le scarpe slacciate. Prima dei social per diventare “qualcuno” dovevi studiare, fare gavetta, certo, c’erano i Jackson Five, ma il talento era talento ed era talento in qualcosa. Oggi, già a vent’anni, se non sei qualcuno (o sarebbe meglio dire “qualcosa”) puoi anche scoppiare, soprattutto se nasci da una famiglia “vip”, dove il successo è di casa, e, dato che i talenti non sono più necessari, un ragazzino non sa chi vuole essere ma vuole esserlo fortemente. Così oggi abbiamo questa narrazione del “disagio” che prende il posto del talento. Si fa a gara a essere più disagiati piuttosto che più talentuosi: soltanto che il disagio narrato diventa disagio vero. Alcuni hanno parlato di “dipendenza dai social” di Achille. Di Achille? I giovani sono tutti dipendenti dai social. Anche molti boomer, figurati. Adesso Achille i social non ce li ha più. Ottimo per un upgrade del disagio, potrebbe pensare un postadolescente che non ha nulla a cui aggrapparsi per formarsi un’identità. Gli hanno chiuso l’account Instagram da 60mila di follower. Ha prima insultato la madre, che per il compleanno dei suoi 49 anni aveva postato alcune foto da una barca a Lipari, con una grotta alle spalle: “Ma copriti, hai 50 anni caz*o. Non sei più una ragazzina e sei anche mamma bah...” e “no vabbè che ridere era la grotta dove ci siamo pippati un 2/3 grammi di ketamina che risateee”.
Tutto molto Slim Shady Style, senza Slim Shady e senza Style. Poi ha postato foto con la polverina rosa dentro il passaporto facendo intendere che accanto alla madre è facile passare i controlli in aeroporto anche se hai droghe addosso: “Quando sei Martina Colombari puoi spostarne quante ne vuoi”. Foto con mazzette di soldi: “Vaiiii come si traffica @martycolombari” e “Martina Colombari che fa i trasporti con me 2Cb e fumo, vai!”, come in una puntata di Pippottino Express in cui madre famosa e figlio disagiato vanno in giro spostando stupefacenti (non rubate l’idea). C’è in giro l’ipotesi che il profilo possa essere stato hackerato, ma c’è il passaporto. Gli inquirenti indagano. La puntata di Pippottino Express si fa interessante. Per una trad wife come Chiara Ferragni (e le sue epigone) per nulla diverse dalle riunioni della Stanhome che si facevano in casa tra casalinghe non annoiate, ci sono migliaia di influencer del disagio. A partire dall’ex marito Fedez, che però, immagino, abbia anche talento, quantomeno imprenditoriale. Siamo dalle parti di gioventù bruciata mixata con come monetizzare sui social: non so cantare ma c’ho il disagio, so cantare e ho anche il disagio. Achille aveva già “disagiato” in passato, sfasciando un taxy di notte, il tassista che lo guarda dallo specchietto mentre Achille sfoga il disagio contro il pulsante dei vetri e se la prende con la maniglia. Il tassista accosta ai ghisa. Un ghisa apre la portiera e Achille gli dà un pugno in faccia. Probabilmente erano due o tre grammi anche quella sera. Poi un post di scuse affrante. Comunque, fa curriculum. Strano che ancora nessuno abbia parlato della “società vip” che è due spanne sopra la “società bene”.
Che invidia quelli che nascono nelle periferie e nell’hinterland. Fortunati loro che col disagio ci sono nati. Che sculata andare in giro con la felpa perché costa poco e non hai i soldi per un giubbotto. Come gli ha detto male, invece, ad Achille, nascere figlio di Vip. Nascere con i soldi. Ma voi avete presente il disagio dei figli dei ricchi? Certo, Achille non pare uno che cita Meno di zero di Bret Easton Ellis e di certo è più facile ingaggiare una lotta all’ultimo sangue con la portiera di un taxi poi un pugno a un poliziotto tra il lei non sa chi sono io e Acab e vai, due o tremila di follower ce li portiamo a casa. È tutta una storia in 2/3 di sghimbescio, questa. Tutta un 2/3 grammi e 2/3k. I boomer ricorderanno la pubblicità di un forno della Rex, con una bambina che dice cantalenando della sorella più grande: “Fa la dieta, vuole fare la modella”. Che era quello che voleva fare Martina Colombari. Corsi e ricorsi storici. Adesso si dice: “Fa il disagio. Vuole fare l’influencer”. Ma c’è una differenza, ce li hanno insegnati gli anni Ottanta e Novata: anche per diventare una modella ci voleva talento: la bellezza non bastava. Oggi, invece, pare che il disagio basti. Se la narrazione del disagio è utilizzata anche da chi ha talento, figurati da chi non ne ha e ha solo il disagio. Il disagio crea follower, non aiuti. Follower disagiati come te o follower che non vedono l’ora di spiare le tue mancanze per sentirsi meglio di te. Che è un’altra forma, più ipocrita, di disagio. Perché di tutta la storia, in fondo, noi non ne sappiamo niente. Anche se tutti pensano di saperne tutto perché hanno visto qualche puntata di Pechino Express. Sono tutti psicanalisti come sono tutti allenatori di calcio. È la macchina infernale dell’engagement: deve essere facile, deve creare identificazione o ripulsa morale. In questo momento è tutto un pullulare di giudizi: contro Martina Colombari e contro il figlio. Non è solo la politica a essersi polarizzata. È la nostra società tutta. Svanita la comprensione e la compassione resta il giudizio e il disagio. Il disagio dei giustizieri e il disagio dei giustiziati. L’umano è più di così. Ma il mondo dell’identità social questo non lo sa. Bisognerebbe chiedere silenzio, di fronte a una famiglia in difficoltà. Ma il silenzio non fa click, non fa commenti, non fa engagement. Viviamo in un’epoca fondata sul chiacchiericcio.