Era il 14 di agosto del 2018. La vigilia di Ferragosto. Tempo di vacanze, per quasi tutti gli italiani. Genova, snodo turistico fondamentale, per chi vive nel Nord Ovest e si muove in macchina. Se ripensiamo a quel giorno, abbiamo tutti in mente la foto irreale di quel camioncino verde e blu della Basko, fermo, immobile, sull'orlo del precipizio. Quell'immagine era il simbolo liminale di una tragedia indescrivibile. Il confine tra esistenza e inesistenza, reso ancora più tangibile dalla quotidianità, spensierata o meno, in cui il crollo del Ponte Morandi si inseriva. Molti di noi saranno sicuramente passati per quel ponte, tappa obbligata per chi da Piemonte, Lombardia e Valle d'Aosta si recava verso il Levante, la Toscana o il sud-est italiano. Ma, abbandonando ogni forma di retorica, perché siamo tornati su quell'immagine proprio oggi, in un periodo di pioggia e cicloni, quando siamo così lontani dall'estate? Il motivo è che, se quell'immagine del camion è indissolubilmente legata alla tragedia del Ponte Morandi, la tragedia del Ponte Morandi, a sua volta, è inevitabilmente vincolata al cognome Benetton, e sul Corriere della Sera è uscita da poco un'intervista ad Alessandro, che fa parte della famiglia veneta diventata famosa per i capi di abbigliamento e per le pubblicità di Oliviero Toscani. Nel corso dell'intervista, Alessandro Benetton torna sul caso Morandi, ribadendo che prova tutt'ora un profondo dolore, e rinnovando le proprie scuse personali a tutti i famigliari delle persone coinvolte. Sempre parlando del Viadotto Polcevera, Benetton dice che lui all'epoca dei fatti consigliò immediatamente di chiedere scusa - come se ci fosse bisogno di consigliarlo, data l'entità della tragedia. Scuse che, peraltro, non arrivarono né dall'azienda né dalla famiglia. "Ognuno di noi è quello che fa quando gli capitano le cose che non si aspetta", dice, ma senza addentrarci nelle implicazioni filosofiche di questa massima, osserviamo che, più avanti, ricorda di "essere sempre stato fuori dall’attività di famiglia a parte la parentesi in Benetton abbigliamento. Ero in California a fare surf con mio figlio. Esco dall’acqua, apro i social e, senza sapere cos’era successo, trovo messaggi tipo: spero che tuo figlio se lo mangino gli squali. Oltre all’immenso dolore umano per la perdita di tante vite e per tante famiglie rimaste senza casa". Sostanzialmente, se ne tira fuori, aggiungendo anche che "Su Atlantia, che controllava Autostrade, non posso dire nulla perché Edizione deteneva solo il 30 per cento e nel Cda sedeva un solo Benetton". Quello che poteva fare, l'aveva fatto, a suo dire. Ma le scuse, per definizione, arrivano soltanto in caso di responsabilità, e se Alessandro Benetton, ancora oggi, ha sentito di doverle presentare nuovamente, quali responsabilità gli si possono imputare davvero? Prima di rispondere limitiamoci a osservare, così en passant, che l'intervista sul Corriere della Sera è stata soggetta a una variazione sul titolo, dal mattino al pomeriggio. Il primo titolo con cui è uscita era relativo alle scuse sul Ponte Morandi. Dopo qualche ora, il titolo ha virato sull'essere padre di tre figli. Significativo? Forse, ma torniamo sulle responsabilità.
All'epoca del crollo del ponte che, va ricordato, causò la morte di 43 persone e lo sfollamento di altre 566, Autostrade per l'Italia era una società privata controllata da Atlantia, una holding della famiglia Benetton. Tant'è che, subito dopo la tragedia, l'allora premier Giuseppe Conte ed entrambi i vicepremier - era quel periodo strano del governo gialloverde, finito poi a mojiti e dj-set al Papeete - individuarono immediatamente i Benetton come diretti responsabili. La linea che Alessandro Benetton ha esposto in diverse interviste è sempre stata una. Già nel 2022, rispondendo a un follower sotto a un post, aveva affermato che "Avremmo dovuto subito chiedere scusa, a prescindere dal fatto che Edizione deteneva solo poco più del 30% di Atlantia nel cui consiglio, composto in maggioranza da amministratori indipendenti, sedeva un solo Benetton". Suona familiare? Sono le stesse cose che ha riportato oggi il Corriere. Un mantra di autoassoluzione. Quasi. Perché è anche vero che Atlantia aveva, a sua volta, quasi il 90% di Autostrade per l'Italia. Tanto che il 16 agosto, all'indomani del crollo, la stessa Edizione, società madre di Atlantia e Autostrade, proprietà dei Benetton, pubblicò un comunicato di cordoglio "in qualità di azionista di riferimento della società quotata Atlantia, partecipata tramite la società di diritto italiano Sintonia", la quale "farà tutto ciò che è in suo potere per favorire l'accertamento della verità e delle responsabilità dell'accaduto". Nello stesso profilo di gruppo di Edizione, anno 2018, si affermava che Atlantia costituiva l'asset principale di Edizione. Certo, Alessandro ne era rimasto fuori, fino al 2022, da Edizione. Nel 2016 era anche uscito dal Gruppo Benetton, per divergenze con la famiglia. Gilberto Benetton, che fisicamente era nel consiglio di amministrazione di Atlantia, un mese dopo il crollo disse che il silenzio era una forma di rispetto mentre un altro Benetton, Luciano, dose che la famiglia doveva considerarsi parte lesa, in quanto nessuno di loro aveva mai fatto parte di Autostrade. Certo è che, se si parla di responsabilità, è prassi anche legale che questa vada presa chi è sopra, ed eventualmente delega, e se sopra a tutta la catena societaria a cui faceva capo Autostrade per l'Italia c'era Edizione, il cerchio si chiude in maniera logicamente facile.
In ultima istanza, sulla responsabilità, vale la pena di ricordare quanto affermato da un ex manager dei Benetton, Gianni Mion, durante un'intervista rilasciata a Repubblica nel maggio del 2023. Secondo Mion, tutti sapevano già dal 2010 che il Ponte Morandi aveva un difetto di progettazione. Era una situazione a rischio, insomma. Poteva crollare, e inesorabilmente lo ha fatto. "Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose: ce la autocertifichiamo. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico»", disse ancora Mion, durante il processo. Il manager si riferiva a una riunione del 2010, alla quale parteciparono l’Ad di Aspi Giovanni Castellucci, il direttore generale Riccardo Mollo, Gilberto Benetton, il collegio sindacale di Atlantia e, secondo il ricordo del manager, tecnici e dirigenti di Spea, la società per la sicurezza delle infrastrutture autostradali. Così, se Alessandro Benetton, già dal momento in cui è stato nominato presidente di Atlantia, ed Atlantia ha cambiato nome in Mundys, ha dato la colpa alle deleghe, "troppe deleghe", le parole di Gianni Mion ci ricordano che le deleghe fanno sempre riferimento a chi le ha date. Come in tutte le aziende, la responsabilità è sempre di chi sta in alto, con tutta la buona volontà di provare a mettersi in pace con la coscienza. Certo è che dal crollo del ponte Morandi, in realtà, i Benetton ci hanno guadagnato, anziché perderci. Nel 2022, infatti, Atlantia riuscì a vendere Autostrade per l'Italia alla Cassa Depositi e Prestiti, e avrebbe guadagnato dall'intera vicenda qualcosa come 5 miliardi. Ovviamente, essendo Alessandro Benetton diventato presidente di Mundys, ex Atlantia, quindi di Edizione, la società madre, non si può dire che non ne abbia guadagnato anche lui. E questo forse basta a capire perché debba sempre chiedere scusa, ammesso che possa servire a qualcosa.