Ok, adesso le prostitute possono fare la cosa più bella del mondo: pagare le tasse. Beate loro. Anche i “gestori di locali di prostituzione” o chi organizza “eventi di prostituzione”, bontà loro, potranno permettersi ora di dichiarare tutto nel Modello Unico dell'anno prossimo, fatturando, pagando Iva e bollo. Saranno un po' meno contenti i mariti fedifraghi che frequentano i locali, che si vedranno inviare la fattura elettronica con la dicitura “bocca”, “servizio completo”, “frustate”, “shibari”, “sottomissione” e avanti con la fantasia. Ma la notizia in sé è ben più strana delle pratiche sessuali, perché se è vero che in Italia la prostituzione è lecita, purché non avvenga in pubblico, è anche vero che fare il pappone o la maman è illegale. Poi, chi dichiarerà le entrate, in una situazione lavorativa anche moralmente delicata come questa? Ci saranno differenze tra lavoratori etero e lavoratori trans? Abbiamo chiesto un commento a Clizia De Rossi, attivista Lgbt, e a Efe Bal, trans ed ex, anche se da poco, "operaia" specializzata del sesso.

Clizia De Rossi: non cambierà nulla
"L’introduzione di un codice Ateco dedicato all’attività di prostituzione rappresenta l’ennesima dimostrazione di come lo Stato italiano riesca a sfoggiare una straordinaria capacità di girarsi dall’altra parte quando si tratta di garantire diritti, ma un’incredibile prontezza nel pretendere doveri, soprattutto fiscali. Dare un codice Ateco alla prostituzione significa, in sostanza, dire: “non ti riconosco, non ti proteggo, non ti tutelo… ma se guadagni, allora mi devi pagare”. Un’operazione vergognosa, travestita da misura amministrativa, che non ha nulla di neutrale: perché quando si decide di monetizzare da una realtà, allora si entra nel merito. E se si entra nel merito, non si può più far finta di niente. In Italia, la prostituzione non è né regolamentata né abolita. È, come troppo spesso accade nel nostro Paese, lasciata in una zona franca dove lo Stato può trarne vantaggio senza mai assumersi la responsabilità di intervenire per proteggere chi la esercita. Oggi il Fisco chiede alle sex worker di autodenunciarsi come libere professioniste, di versare le imposte, di dichiarare un’attività che, però, resta ancora senza tutele legali, sanitarie o previdenziali. Nessun contratto, nessuna copertura medica, nessuna garanzia contro lo sfruttamento, nessun riconoscimento pieno della loro identità professionale. Nulla, se non il diritto a pagare le tasse. Ma c’è di più. Questa misura vale solo per chi esercita la prostituzione in maniera “spontanea” e risiede regolarmente in Italia. Il che significa che restano escluse – ancora una volta invisibili – tutte le persone sfruttate, ricattate, rese schiave, e tutte le sex worker migranti, che rappresentano la maggioranza di chi vive questa realtà. È come voler tassare un iceberg guardando solo la punta che emerge dall’acqua. Uno Stato che si definisce civile non può continuare a ignorare l’ipocrisia di questa posizione: da un lato criminalizza chi organizza la prostituzione, dall’altro incassa volentieri se chi si prostituisce dichiara guadagni. È una forma di cinismo istituzionale che fa cassa sulla pelle di persone spesso ai margini, senza offrire nulla in cambio. Se davvero si vuole affrontare il tema della prostituzione in Italia, lo si faccia con onestà, coraggio e responsabilità: attraverso un dibattito pubblico serio, una riforma normativa che metta al centro la libertà, la dignità e la sicurezza di chi lavora nel settore, e strumenti reali per combattere lo sfruttamento. Tutto il resto è solo un modo elegante per lavarsi le mani e riempirsi le tasche. Anche perché la maggior parte delle donne lo fa in gran segreto, si vergogna, ma soprattutto lo fa perché non arriva a fine mese, quindi trovo impensabile che poi vada a pagarci le tasse sopra. Parliamo, spesso, di situazioni disperate. La cosa più ridicola di questa novità, tra l'altro, è che sembra fatta soltanto per le donne, e per poche di loro. Gran parte del mondo trans, che vive sotto sfruttamento e spesso non ha nemmeno i documenti, ne rimane fuori. Anche perché stiamo parlando di persone che poi vorranno andare a invecchiare nei loro paesi d'origine, e non ha interesse nei confronti della pensione italiana. In definitiva, tutto rimarrà come adesso".

Efe Bal: vediamo chi dichiarerà davvero
"Come avevo annunciato sui social, sono dovuta rientrare in Turchia perché mia mamma soffre e devo starle vicina. Adesso che sono fuori dall'Italia, il Fisco ha riconosciuto la prostituzione come un lavoro, ma vediamo poi quante persone lo dichiareranno davvero, e quanti si faranno avanti sul serio, perché un'altra stupida e scema come me non si trova. Io sono l'unica cittadina italiana che ha sempre manifestato, protestato per chiedere una regolarizzazione della prostituzione. Mi sono battuta, sono andata in televisione, sono stata arrestata per chiedere di pagare le tasse, e ne vado fiera. Ormai la cosa non mi riguarda, perché non faccio più quel lavoro, anche se da poco. Ormai non vivo più in Italia, e anche se dovessi tornare lo farei da turista, e non più per lavorare. In ogni caso il problema è che non si capisce bene quali conseguenze può avere questa regolarizzazione fiscale. Perché se devi pagare le tasse ma poi non hai diritto a una pensione, questo è sfruttamento. Lo Stato diventa il pappone più grande della storia".

