Julian Assange verrà estradato? Il fondatore di Wikileaks, accusato di aver violato l’Espionage Act, la legge americana contro lo spionaggio del 1917, rischia centosettantacinque anni di carcere. è attualmente in prigione dopo che venne arrestato nel 2019 presso l’ambasciata dell’Equador a Londra con l’accusa (poi ritirata da una delle presunte vittime e caduta nel secondo caso) di violenza sessuale in Svezia. Sulla sua testa pendono diciotto capi di imputazione e a una prima richiesta di estradizione accettata nel 2022 (dopo che si bocciò la prima nel 2021 per motivi di salute) seguirà ora l’udienza definitiva che stabilirà se Assange potrà o meno tornare negli Stati Uniti. Pressoché la totalità della stampa libera e le maggiori realtà in campo per i diritti umani, come Amnesty International, stanno manifestando e scrivendo affinché le accuse sull’hacker e giornalista cadano. C’è chi ha definito Assange un Navalny occidentale, un perseguitato politico diventato nel tempo il simbolo dei valori liberali, dell’opposizione alla censura e, per usare la definizione di Noam Chomsky e Edward Herman, un nemico della “fabbrica del consenso”. In più di un’occasione, tuttavia, è stato definito un amico dei nemici delle società aperte, un filoputiniano, un alleato dei russi, una spia della nuova Guerra Fredda tra Usa e Russia. Ma davvero è così?
Un’accusa del genere è stata lanciata di recente a un altro noto commentatore politico americano, il più seguito nelle tv fino al suo licenziamento da Fox News: Tucker Carlson. Cacciato dal canale dopo una richiesta di risarcimento di Dominion all’emittente, nonostante secondo alcuni noti giornalisti di inchiesta come Glenn Greenwald il reale motivo sarebbe stato la sua opposizione alla guerra in Ucraina, Carlson ha di recente intervistato Vladimir Putin, il leader russo in queste ore accusato dalla moglie di Navalny, Yulia Navanaya, di aver assassinato suo marito, detenuto nella colonia penale di Kharp. Questa intervista non avrebbe fatto altro che confermare la sua ammirazione per il presidente russo, si dice, nonché per quelle forze nemiche dell’America e per estensione dell’Occidente. In questi giorni ha pubblicato vari video di lui in supermercati e McDonald russi, in cui apre stupirsi quasi di ogni cosa, (compreso il fatto ch ei carrelli siano uguali a quelli americani), mentre elogia la metro Kievskaya (ora anche un museo) costruita da Stalin (“che ovviamente era cattivo, ma bisogna guardare la realtà”) e critica gli aiuti militari all’Ucraina (“insensato, crudele, uccide un’intera generazione di ucraini”). Ma cosa rende un giornalista non allineato un “nemico” in un Paese liberale? Per la stessa natura di questo modello di civiltà quasi nulla. Tranne, evidentemente, non essere allineati appunto.
Ok, ma cosa c’entra Tucker Carlson con Julian Assange? A fine 2023 il conduttore, ora su X, la piattaforma di Elon Musk, ha fatto visita ad Assange nella prigione di Berlmarsh a Londra, dove Assange sta ancora aspettando la decisione del tribunale (probabilmente per motivi di salute, il giornalista non si è infatti presentato in tribunale). L’annuncio della visita venne dato da Carlson stesso proprio su X, senza ulteriori spiegazioni. Era il 3 novembre. Ora, a distanza di quasi quattro mesi e dimostrata la linea editoriale di Carlson, che nel suo programma ha ospitato da Putin a Trump, passando per Andrew Tate e altre figure considerate dall’establishment come ambigue, contraddittorie o criminali, sembra che il conduttore possa aver realizzato un’intervista con Julian Assange, nonostante non siano stati dati annunci in proposito. Sta forse aspettando il momento giusto? Potrebbe arrivare dopo la fine dell’udienza il 21 febbraio. Sotto Natale, Carlson si era concentrato proprio su Assange, dicendo: “Uno dei più grandi giornalisti della nostra epoca. Ha trascorso tutta la sua vita adulta portando al pubblico fatti precedentemente nascosti su ciò che stanno facendo i nostri leader. Questa è la definizione stessa di giornalismo. Eppure, Julian Assange non è un eroe nelle redazioni americane. È un nemico. Assange ha commesso l’errore di offendere il vero elettorato dei media, che non è il pubblico, ma i potenti […] Assange è un criminale. Ha danneggiato la sicurezza nazionale. Assange non è un giornalista. È un criminale, strillavano i fedeli servitori del potere. I governi imbarazzati di tutto il mondo concordarono”.
La retorica di chi imputa a Carlson un filoputinismo conclamato è confermata dalla possibilità di un’itervista ad Assange? Chi fa dell’atlantismo un’arma imperiale e non uno strumento per la difesa dei valori di libertà e verità crede di sì, ma in questo modo dà per acclarato qualcosa che invece dovrebbe dimostrare: Assange è davvero un nemico americano? O, a suo modo, un liberatore, molto più convinto dei valori occidentali di molti governi? L’intervista di Carlson potrebbe diventare una nuova occasione di ascoltare una delle voci più dirompenti del giornalismo mondiale dall’inizio di questo secolo. Un antidoto alla censura, quella vera.