“Non si tratta di un accordo di capitolazione o di un’invasione”, così Edi Rama, il primo ministro albanese, ha definito a Dritto e rovescio l’intesa raggiunta con il governo italiano di Giorgia Meloni. “Non un’invasione”: una frase del genere, alle orecchie di noi italiani, risulta stridente. Nel nostro paese sentiamo costantemente parlare di sostituzione etnica, di invasione o di assalto all’Italia e alle radici cristiane dell’Europa. Le parole misurate non funzionano: bisogna urlare, alzare i toni più dell’interlocutore che si trasforma, ogni sera nei talk show, in un nemico. Le proposte sono confuse, le voci si intrecciano e si invoca un aiuto “dall’alto” fingendo che, data l’assenza di una soluzione europea al tema dell’immigrazione, i singoli governi siano legittimati a lasciare la situazione così com’è. “Aiutiamoli a casa loro”, sbraita ogni volta Matteo Salvini, come se aiutare un intero continente o ricostruire stati distrutti da anni di guerriglie, criminalità e colonialismo sia una cosa semplice e meno impegnativa. Dall’altra parte, da sinistra, le "supercaz*ole" di Elly Schlein che propone un’accoglienza larga e la regolamentazione dell’immigrazione, oltre che una gestione diversa delle rotte che partono dal nord africa e passano per l’Europa dell’est. Poi, in assenza di peso politico e proposte concrete, passa alla “fase morale”: “Il governo Meloni sta minando la dignità di quelle persone”. Vero. Quelle scene che vediamo nei centri di ricollocamento sono la vergogna di una nazione e di un continente che ha la pretesa di chiamare “universali” i diritti. In questo scenario, l’impegno albanese non fa certo brutta figura, anzi. L’accordo prevede la costruzione di due centri di accoglienza che potranno ospitare 3mila persone (39mila all’anno) e rappresenta anche l’ammissione dell’incapacità italiana, della poca preparazione culturale, sociale ed economica necessaria all’organizzazione della questione migranti. Al di là dei contenuti e delle perplessità, sottolineate da molti, rispetto alla costruzione di un “modello Italia-Albania”, quello che sorprende è la modalità di comunicazione del premier Edi Rama. Chiarezza, semplicità e consapevolezza del fatto che no, non è una soluzione definitiva quella appena formalizzata. Il dibattito in Italia, dopo le parole di Rama, sembra ancora più ridicolo.
“La Guantanamo d’Europa”
Riccardo Magi di +Europa ha definito l’accordo come la creazione di una nuova Guantanamo italiana. “Bisogna avere più sensibilità nell’uso di certe parole”, ha sottolineato il premier albanese. Anche perché, se è vero che l’Albania non fa parte dell’Unione europea, i centri di accoglienza esistono ovunque: “I centri di accoglienza in Grecia, che fa parte dell’Ue, non sono anche quelli dei Guantanamo?”. Inoltre, prosegue Rama, “l’Albania un tempo era davvero una sorta di Guantanamo, un paese di lager. Dopo tutto questo tempo, definirci in quel modo è un po’ troppo”. Oggi che vediamo le piazze riempirsi di cori antisemiti o islamofobi l’indicazione di Edi Rama ha ancora più valore.
Le critiche della sinistra
In un’altra occasione, a L’aria che tira, Edi Rama ha detto che “la sinistra è abituata alle dispute interne”. Molti del Pd, infatti, hanno criticato il premier albanese per aver stretto accordi con un governo di destra. Anche a questo Rama ha risposto semplicemente: “Se non è di sinistra fare accordi per salvare vite non so cosa lo sia”. Ogni motivo è valido, insomma, per i politici italiani per scagliarsi contro qualcuno e cercare di uscirne come i buoni del caso.
Una soluzione definitiva? Probabilmente no
Contrariamente a quanti, da destra, si professano ideatori di un modello (come la stessa presidente Meloni ha detto), Edi Rama è più cauto: “Quei centri di accoglienza non sono degli hotel sul mare e non è detto che siano la soluzione definitiva”. Sarebbe accaduto lo stesso in Italia, a parti invertite, o avremmo, piuttosto, gridato vittoria dopo un simile accordo?
“L’Albania sta facendo i suoi interessi”
Non prendiamoci in giro. L’Albania ha fatto una mossa politica. Certo, all’interno di un’azione politica giocano un ruolo anche i valori, la consapevolezza di essere stati (nel caso albanese) i migranti prima degli accoglienti e una relazione, quella con l’Italia, che va avanti da molto tempo. “È difficile credere, in un momento in cui tutti fanno i propri interessi, che qualcuno faccia qualcosa senza chiedere nulla in cambio”, ha detto ancora a Dritto e rovescio Edi Rama. Ha poi ricordato l’accoglienza italiana nei confronti del popolo albanese: “Quando l’Italia ci ha accolto non ha chiesto niente in cambio”. Occorre poi sottolineare che l’Albania ha intrapreso un percorso di rinnovamento e di avvicinamento all’Unione europea, di cui spera presto di far parte: “L’Albania è al centro dell’Europa, pur non facendo parte dell’Unione”. Non si nasconde il premier albanese riguardo alla “candidatura” del suo paese a nuovo membro Ue. Ovviamente, non c’è un rapporto di causa ed effetto in queste procedure: solo perché l’Albania si è aperta all’accoglienza non significa che automaticamente entrerà nell’Unione. Sono passi piccoli e decisi che vanno in quella direzione.
Senza l’aiuto dell’Italia, della Germania e della Francia l’Europa non potrà affrontare in maniera sistemica la questione dell’immigrazione, inutile negarlo. L’Albania, però, in un quadro di incertezza sta giocando la sua parte. Pierluigi Bersani, in un suo intervento a Otto e mezzo, ha parlato di “polvere sotto al tappeto” per definire la mossa del governo Meloni. In effetti, l’accordo non può non apparire, almeno per il momento, come l’ammissione di una sconfitta per l’Italia, non solo dell’attuale governo, costretta ad “appaltare” la gestione di esseri umani a uno stato terzo. Almeno a parole, Edi Rama sembra consapevole che quelle persone hanno una dignità. Vedremo se seguiranno i fatti. Se c’è qualcuno, però, che a livello di immagine ci ha guadagnato è proprio il primo ministro albanese. Forse non un modello, probabilmente non la soluzione definitiva, ma certamente una buona figura fatta agli occhi dell’Europa e comunicata nel migliore dei modi. In un mondo di urlatori, chi parla piano può fare ancora più rumore.