La Corte Costituzionale si prepara a vagliare la riforma di Giorgia Meloni? Questa è l’indicazione che fonti di MOW ben inserite negli ambienti della Consulta suggeriscono. In particolare, un alto esponente del mondo legale orbitante attorno ai palazzi romani ha potuto raccogliere questa sensazione in un recente convegno dove la Corte Costituzionale si è radunata in una vera e propria seduta informale nel principale cenacolo dei costituzionalisti dell’Urbe. Ai margini della quale è emersa una chiara e decisa posizione della Corte Costituzionale in carica per vagliare, a tempo debito, la riforma basata sul premierato e la norma “anti-ribaltoni” su cui Giorgia Meloni e Maria Elisabetta Alberti Casellati hanno incardinato la riscrittura della Costituzione in versione “destra-centro”. La nostra fonte era un insider di MOW tra i partecipanti del prestigioso evento per il conferimento del 40° Premio Giuseppe Chiarelli per gli studi giuridici, tenutosi l’8 novembre scorso nel Salone Belvedere del Palazzo della Consulta di Roma, sede della Corte Costituzionale a due passi dal Quirinale. Il premio, organizzato dal Centro Studi Giuridici intitolato proprio all’eminente magistrato e presidente della Corte Costituzionale dal 1971 al 1973, ha visto la partecipazione di tutti gli alti esponenti storici della magistratura costituzionale italiana, anche per il nome di spessore premiato quest’anno: Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio e della Consulta, quest’anno alla ribalta delle cronache per le rivelazioni su Ustica e la nomina al comitato per l’intelligenza artificiale da parte del governo. Molti i relatori di peso. A introdurre i lavori Silvana Sciarra, Presidente della Corte Costituzionale, a coordinarli, il presidente del “Giuseppe Chiarelli”, l’ermellino Giulio Prosperetti, a pronunciare la laudatio di Amato, Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Consulta. Nel pubblico tanti alti magistrati, giudici costituzionali e giuristi protagonisti della storia recente del Paese. E proprio nella celebrazione dell’eterna riserva della Seconda Repubblica dopo esser stato l’ultimo premier espresso dai partiti della Prima, si è discusso ampiamente della riforma con cui Giorgia Meloni vorrebbe inaugurare la Terza Repubblica. Compito non riuscito a Matteo Renzi, naufragato col referendum del 4 dicembre 2016, e al duplex M5S-Lega che di un rinnovamento in tal direzione parlarono dopo la nascita del governo Conte I nel 2018.
Raccogliendo voci e impressioni tra gli astanti presenti al convegno ad ascoltare Sciarra, Prosperetti, Flick e Amato, il nostro insider ha raccolto da molti giudici costituzionali in carica la confidenza che è altamente probabile che la riforma sul premierato dovrà necessariamente passare al vaglio della Consulta per un giudizio di costituzionalità. “Questa riforma è in essere nel dibattito pubblico”, ci ricorda la nostra fonte, “e potrebbe passare se ci sarà una maggioranza di due terzi in entrambi i rami del Parlamento o se sarà positivamente sottoposta a giudizio popolare tramite referendum” ma “c’è da tenere in conto il fatto che la possibilità di un vaglio di costituzionalità da parte della Consulta del processo di revisione della carta non è da escludere” e potrebbe terremotare i progetti politici di Giorgia Meloni. La Corte Costituzionale potrebbe dunque setacciare eventuali profili di incostituzionalità della riforma targata Meloni e rimandare, anche in caso di esito positivo, la nascita della Terza Repubblica dopo aver in passato già fatto a brandelli le leggi elettorali di Roberto Calderoli (Porcellum) e Matteo Renzi (Italicum). A tal proposito, assume dunque maggior valore la partita politica che si sta aprendo per la progressiva evoluzione e il graduale rinnovamento della Consulta. Nella giornata di ieri una fumata nera è stata la conclusione del primo tentativo del Parlamento in seduta comune di eleggere il giudice costituzionale che sostituirà proprio l’uscente Sciarra. Su 464 votanti, si sono registrate 429 schede bianche, 28 nulle e 2 voti dispersi. La maggioranza di centrodestra ci potrà riprovare al secondo voto, in cui serviranno i tre quinti delle preferenze, 363 voti, sul totale del Parlamento. E in seguito, l’11 novembre scade anche il mandato dei due vicepresidenti, Daria De Pretis e Nicolò Zanon, nominati nel 2014 da Giorgio Napolitano. Sergio Mattarella ha in mano la palla per la loro sostituzione, prima dell’infornata del 2024 in cui, a dicembre, il Parlamento dovrà rinnovare tre dei suoi componenti: Franco Modugno, Augusto Barbera e lo stesso Giulio Prosperetti. Tra l'altro, il Presidente della Repubblica ha appena nominato i suoi due giudici: il professor Giovanni Pitruzzella e la professoressa Antonella Sciarrone Alibrandi. Insomma, la partita diventa caldissima: visto che la convocazione di un eventuale referendum o l’approvazione della riforma avverrà non prima di fine 2024 o inizio 2025, prima di un “salto” di due anni fino al 2026 per le nomine successive da qui a dicembre 2024 dovranno essere rinnovati il 40% dei quindici membri della Consulta. Due scelte sono in mano al Quirinale, che sarebbe en passant depotenziato dal premierato, quattro al Parlamento ove cercherà di fare la voce grossa la maggioranza di centrodestra: e alla luce della necessità di parare un possibile vaglio negativo, è plausibile pensare che Meloni viva, in maniera assai attiva, queste partite spesso ritenute secondarie come una priorità di governo. Per poter perseguire il sogno di essere l’edificatrice della Terza Repubblica di fronte a cui Matteo Renzi, Luigi Di Maio e Matteo Salvini si sono già infranti.