Se i numeri non mentono sentite questi, riportati dal quotidiano Libero in prima pagina: “Produzione di auto in Italia in calo del 40,7% in un solo anno. A Torino si arriva a -68%. A rischio decina di migliaia di posti”. Difficile, allora, non titolare “L’autodistruzione di Stellantis”. L’azienda degli Elkann, guidata da Carlos Tavares, avrebbe subito un crollo delle vendite a settembre pari al 33,9%, mentre la quota di mercato in Italia è scesa ulteriormente, dal 32,6% del 2023 al 24,1% di quest’anno. I conti tornano, anche quelli che interessano varie famiglie nei prossimi mesi, visto che si rischia la chiusura o lo stop alla produzione in vari stabilimenti. E, forse, anche il licenziamento. È stato appena pubblicato un dossier Fim Cisl, che definisce la crisi di Stellantis “profondo rosso”, più che tragica, quindi, horror. Secondo la Fim nel 2024 Stellantis produrrà meno di 300 mila auto, meno di 500 mila unità tra quattroruote e moto. Come spiega il segretario generale della Fim, Ferdinando Uliano, l’impianto di Melfi è tra i più interessati e sarà quello che perderà il più alto numero di unità da produrre. In altre parole, uno dei simboli dell’età d’oro di Marchionne diventerà uno dei simboli della crisi degli Elkann-Tavares. Anche Mirafiori non se la passa meglio e butta sul mercato appena 21.210 Fiat 500 elettriche in nove mesi di produzione. Cala tutto, le vendite di Chrysler e Dodge, ma anche Fiat Alfa Romeo. Tutto questo con l’inevitabile risultato di un innalzamento dei prezzi, soprattutto delle endotermiche, che costituiscono ancora il centro della produzione automotive europea.
Per Paolo Del Debbio, che commenta la notizia su La Verità, è una conferma di quanto aveva già sostenuto e che ora ribattezza, chiaramente, “involuzione della specie”, da Agnelli a Elkann. Crisi dinastica per una delle famiglie storiche dell’imprenditoria italiana? “E badate bene, non si tratta solo di una questione economica, come è stato raccontato bene su questo giornale nei giorni scorsi da Camilla Conti e Tobia De Stefano, si tratta di una questione di galateo della famiglia Agnelli-Elkann nei confronti di un Paese che si meriterebbe maggiore rispetto”. Del Debbio si spiega: “Quando sei parte di una storia nazionale - e la Fiat ne è stata parte importante per lungo tempo - non puoi, ad un tratto, come se tu fossi un marziano, non tenere più conto di questa storia e trattare l’Italia con l’eleganza di un elefante in un negozio di cristalleria. Né può pensare il giovane Elkann di fare il giro delle sette chiese a Roma, compreso il presidente della Repubblica, non si capisce bene a promettere cosa visto che, regolarmente, tutto quello che è stato promesso non è stato mai mantenuto”.
Pur non negando la preferenza “spiccata a ricorrere al denaro pubblico per allargare l’azienda” di Gianni Agnelli, Del Debbio si chiede come sia possibile che un’azienda piena di finanziamenti pubblici continui a essere in crisi e, per altro, sempre di più fuori dal Paese: “Da gennaio 2021 a maggio 2024 Stellantis ha distribuito 4,16 miliardi di dividendi dei quali 2,7 sono andati nella holding del signor John Elkann ad Amsterdam? No, lo chiediamo perché sono soldi nostri e quindi avremmo diritto di sapere perché, a fronte di tutti questi quattrini ricevuti, praticamente gratis, le imprese sono andate sempre peggio e l’Italia è stata via via abbandonata”. E l’attacco finale di Del Debbio è proprio per i sindacati che, “al contrario del sindacato americano che sta dando battaglia a Stellantis in quel Paese, quello italiano, a questo proposito, ha emesso sospiri, gemiti, qualche piagnucolio, piagnisteo, guaito e mugolio. Salvo occuparsi dell’autonomia differenziata e della cittadinanza agli immigrati. Io lo riconosco, sono rimasto indietro. Ero rimasto ai sindacati che si occupavano delle fabbriche, del lavoro, degli operai e dei lavoratori. Chissà perché su Stellantis sono stati sempre zitti salvo quella serie di emissioni vocali che abbiamo sopra descritto? Un mistero che non è neanche un mistero buffo, come avrebbe detto Dario Fo, è solo un mistero ridicolo”.