I risultati di un reportage internazionale realizzato da tre grandi network televisivi pubblici, ovvero Pbs per gli Stati Uniti, Bbc in Gran Bretagna e Arte tra Francia e Germania, svelano come l’industria petrolifera abbia orchestrato una campagna di disinformazione continuativa per insinuare dubbi sulla relazione tra combustibili fossili e riscaldamento climatico. Nella puntata di Petrolio su Rai 3, si fa riferimento alle varie aziende che avrebbero fatto di tutto per evitare di affrontare il tema. Tra queste, ci sarebbe anche Eni. La puntata si apre con le dichiarazioni del responsabile della comunicazione Evb, Christoph Nagel: “Abbiamo una flotta di treni diesel, ma anche moltissimi treni a idrogeno. E abbiamo intenzione di sostituire tutti i treni diesel con questo convoglio. I treni a idrogeno sono comunque treni elettrici, ma in questo caso il treno ha una propria centrale elettrica. Siamo molto orgogliosi di essere il primo operatore al mondo che utilizza, per il futuro dell'ambiente, treni a idrogeno”. Lo scenario, però, cambia radicalmente più a Sud, al villaggio di Lützerath, laddove per guardare al futuro si è tornati al passato. Infatti, solo settant’anni fa arrivò sulla scrivania del presidente americano dell'epoca Lyndon Johnson il primo documento che evidenziava un legame tra il cambiamento climatico e l’aumento dei livelli di Co2 nell'atmosfera. Più tardi, uno studio scientifico dei ricercatori Exxon (compagnia petrolifera globale tra le più affermate nel mondo) confermò l’influenza sul clima del consumo di combustibili fossili. I dati, però, vennero occultati agli occhi dell'opinione pubblica. A oggi le previsioni dell’epoca risultano estremamente attuali. La stessa Dina Hamid, assieme a Zade Abdullah, attiviste del movimento Luetsi Lebt per il villaggio, ammettono di fare parte del movimento per il clima da sei anni e di essersi unite al movimento per protesta a favore di una politica ambientale più marcata: “La Germania è uno dei paesi che inquina di più al mondo”, dice una. L'altra ammette: "Con noi venne anche Greta Thunberg. L'anno scorso io stessa sono stata brutalmente allontanata dalla polizia e tutto questo è accaduto per fare spazio alla maggior fonte di Co2 in Europa, qui nella miniera di Garzabaiden la Rwe scava la lignite, che è una delle cose più inquinanti che esistano. Ma la Germania non si ferma. Pianifica di scavare carbone fino al 2030”.
I nomi dei paesi che sono stati rasi al suolo per lasciare spazio alle miniere di carbone della Rwe sono tanti. Troppi: Holz, Borschemich, Otzenrath, Lützerath, Immerath, Pesch. La domanda è se si fosse già diffusa settant'anni fa la consapevolezza sui rischi climatici. In quel caso sarebbe stato possibile adottare per tempo politiche utili a limitare l’uso di petrolio, gas e carbone, avviando quindi una de-escalation che avrebbe consentito di limitare i danni? Padre Werner Rombach, parroco della St. Lambertus-Immerath Neu parla della “sua” chiesa, demolita per lasciare spazio alle miniere a cielo aperto. Ci si sposta a Immerath e poi a Kuckum, dove agli abitanti era stato detto che si sarebbero dovuti tutti spostare “nei nuovi insediamenti”, per permettere alla lignite di essere estratta. Duilio Giammaria mette in luce il legame tra la riapertura di queste miniere fossili di carbone (che conserva la fama di essere la materia fossile più “sporca” al mondo) e il conflitto russo-ucraino. L'obiettivo principale degli attivisti per l'ambiente di oggi sarebbe quello di fare una retromarcia sul fronte dell’aumento delle temperature sopra la fatidica soglia del grado e mezzo. Monsignor Vincenzo Paglia, invitato in trasmissione da Giammaria, parla di un documento del 2023 (“Laudato Sii”) che già molto tempo fa faceva riferimento all'ambiente come una delle massime espressioni dell'umanesimo globale. E che dunque, come tale, andava protetto e preservato: “L'essere umano non può fare a meno dell'ambiente in cui vive. Il clima è indivisibile. O è buono di tutti o è drammatico per tutti”. Poi il conduttore interpella l'intelligenza artificiale in studio, che rimanda all'obiettivo degli accordi di Parigi del 2015 sulla temperatura globale (con tanto di dati davvero preoccupanti). A oggi è anche sotto gli occhi di tutti la responsabilità della Exxon, che tentò di utilizzare competenze e strutture per limitare un effetto serra globale. Quello che la Exxon voleva era svolgere un lavoro di valutazione sul clima. Come dichiara Edward Garvey, che collaborò come ingegnere con Exxon all'epoca dei fatti, “l'azienda faceva ricerche per negare le evidenze del problema, non per trovare soluzioni, come inizialmente credevo”. Viene mandata in onda anche una vecchia intervista di Lee Raymond, presidente di Exxon: “I combustibili fossili avevano un tale vantaggio economico e una tale facilità d'uso che sarebbe stato davvero complicato sostituirli”.
Dopo questi dati riportati agli occhi dell'opinione pubblica relativi a una grande azienda tedesca e a un'ennesima americana, arriva anche il momento di mostrare cosa succede in Italia nell'ambito del Co2. Nel nostro paese, infatti, è stata avviata di recente un'azione legale collettiva grazie a ReCommon e Greenpeace. Quest'azione legale si scaglia contro Eni. E Giammaria stesso ricorda al pubblico di quando i rappresentanti furono stati invitati nel programma. La compagnia petrolifera italiana, però, avrebbe declinato l’invito, avvertendo la trasmissione che Eni non accetterà di subire “accuse inaccettabili” che “saranno demolite” in altre sedi più opportune. Greenpeace Italia e ReCommon mostrano come Eni avrebbe chiesto una consulenza tecnica a persone tutt'altro che indipendenti. Anche a chi, in molti casi, si è fortemente espresso su posizioni negazioniste circa il riscaldamento globale. Entrando più nello specifico, le due associazioni ambientaliste parlano di Carlo Stagnaro, il direttore degli studi e delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni, think tank. Nonché un liberista noto anche per essersi, sembra, schierato su posizioni antiscientifiche sulla crisi climatica. Stagnaro si sarebbe occupato di diffondere anche in Italia teorie prive di fondamento sui cambiamenti climatici, scagliandosi contro l’Ipcc (che rappresenta la massima autorità scientifica in materia a livello globale). A oggi i dubbi sono ancora tanti. Ma resta una grande certezza, come conferma anche Petrolio: non c'è più tempo. Queste potrebbero essere le ultime avvisaglie prima del punto di non ritorno.