La guerra legale nata nella pancia della dinastia Agnelli continua a far discutere. Margherita Agnelli porta avanti la sua battaglia contro i suoi tre figli John, Lapo e Ginevra Elkann, nel mezzo della lite c’è la dubbia, almeno per l’attuale moglie di Serge de Pahlen, eredità di Marella Caracciolo. Insomma, secondo Margherita le sarebbero state nascoste, e quindi negate dopo la morte della madre, non solo ricchezze tenute all’estero in paradisi fiscali, ma anche una collezione di quadri di cui da tempo ha denunciato la sparizione. Si tratta di ben tredici tele firmate da pittori del calibro di Claude Monet, Giorgio De Chirico e Giacomo Balla, su cui da mesi la Guardia di Finanza, e non solo, sta indagando. Ma dove sono finite queste opere? A quanto pare la soluzione di questo mistero era molto più semplice di quanto si potesse pensare. Infatti, rivela l’Ansa, “sarebbero tutte rintracciate e rintracciabili, e donate dalla nonna ai nipoti Elkann, le 13 opere d’arte, parte del tesoro lasciato da Gianni Agnelli, e che un tempo arredavano Villa Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma”, e addirittura, si riportano le parole di Manuela Messina su Il Giornale, questi quadri “si trovavano nelle loro abitazioni”, ovvero in quelle di John, Lapo e Ginevra. Inoltre, continua la giornalista, “altre opere si troverebbero al Lingotto, nel caveau della Pinacoteca Agnelli”. Dunque il giallo sarebbe definitivamente risolto, anche se, si legge ancora sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, “fonti vicine a de Pahlen […] precisano che i quadri oggetto di denuncia […] non potrebbero essere stati donati, in quanto Marella non ne avrebbe avuto la proprietà”, e inoltre, riporta sempre Messina, “non vi sarebbe ad oggi formalizzato nessun documento di donazione. Secondo Margerita, in sostanza, ogni donazione risulterebbe dunque invalida e sarebbe pertanto richiesta l’immediata restituzione delle opere alla (presunta) legittima proprietaria”. Ma i dubbi, i grandi dubbi, non sono finiti qui…
Su Il Fatto Quotidiano Ettore Boffano e Manuele Bonaccorsi chiamano questo episodio “un giallo milionario”, e secondo loro, o meglio ancora secondo un’indagine realizzata dai cronisti dello stesso quotidiano e della trasmissione di Rai3 Report, l’inchiesta “sarà presentata in una delle prossime puntate”, i punti di domanda riguardo la questione dei quadri “scomparsi” sarebbero molti altri. Infatti, riportano i due giornalisti, “gli inquirenti torinesi hanno rinvenuto al Lingotto solo due originali, La Chambre di Balthus e il Pho Xai di Gérome, e invece tre copie di modesto valore di altri tre capolavori”. Gli altri originali, secondo quanto dichiarato dagli Elkann, si troverebbero a Sankt Moritz, nella villa Chesa Alkyon dell’Avvocato. Ma adesso è necessario fare luce sull’esatta datazione delle copie. Infatti, scrive la coppia Boffano-Bonaccorsi, “se emergesse […] che esse sono state realizzate dopo il 24 gennaio 2003, giorno della morte di Gianni Agnelli, allora le indagini potrebbero estendersi a verificare quando e come gli originali hanno lasciato l’Italia per la Svizzera e sostituiti con le copie. Se fosse mai dimostrato che i tre quadri si trovavano in Italia - continuano i giornalisti -, allora potrebbe trattarsi di un reato. E anche piuttosto grave”. In questo caso, infatti, gli Elkann si parlerebbe di esportazione illecita di opere d’arte, “punito - si legge sul Fatto - dal Codice dei beni culturali con una pena dai 2 a 8 anni di reclusione. - Anche se - Tutto potrebbe essere prescritto: cio che invece non si prescriverà mai - continuano Boffano e Bonaccorsi - è il diritto da parte dello Stato di rivendicare il rientro delle opere in Italia, con un sequestro”.