"Fesserie in piazza". Così Giorgio Dell’Arti ha intitolato il suo commento – pubblicato sui social della sua rivista Spremuta di giornali – rivolto in modo tutt’altro che lusinghiero alla collega Concita De Gregorio. Il riferimento è a un articolo uscito su Repubblica, firmato appunto da De Gregorio, dal titolo "Diamo nomi di donne alle nostre strade". L'esempio che viene fatto, però, non è piaciuto allo storico giornalista e fondatore del Venerdì di Repubblica (il giornale per cui, appunto, De Gregorio scrive): “Sarebbe bello darsi appuntamento, anziché in piazza Cavour, in piazza Tina Anselmi". E qui viene da chiedersi: è davvero un paragone che regge? O forse è una battuta scritta con leggerezza, senza riflettere troppo sul significato simbolico – e storico – dell'accostamento? Perché dovrebbe essere necessario sostituire l’uno con l’altra, invece di farli convivere, ciascuno con il proprio merito e contesto? Dell'Arti commenta così: “Tina Anselmi merita una piazza più di Camillo Cavour? Io mi domando se si può dare un caso più clamoroso di asineria storica". E per farci spiegare meglio il suo punto di vista, lo abbiamo contattato.

"È un'asineria perché chiedere di sostituire una piazza a Cavour con una piazza a Tina Anselmi vuol dire che non si ha mai avuto idea di chi sia stato Cavour", ci ha spiegato Dell'Arti. "Ci sono tante vie intitolate a personaggi maschili di poco conto, o comunque che se ci sono o non ci sono è la stessa cosa, e non capisco perché bisogna sostituire una piazza a Cavour con una a Tina Anselmi, come se i due personaggi fossero da mettere sullo stesso piano. Non sono da mettere sullo stesso piano. Basta avere un po’ di memoria storica". Quindi specifichiamolo: il discorso non è “Cavour sì e Tina Anselmi no”, ma “Tina Anselmi sì, ma non al posto di Cavour”. E Dell'Arti lo conferma: "Il problema è che lei ha fatto il paragone con Cavour e questo, diciamo, mi ha dato fastidio. Vuol dire non avere piena coscienza di quello che è stato Cavour. Purtroppo è come dice Montanari: gli italiani sono un popolo di contemporanei, privi di memoria. Però, diciamolo, da una giornalista rinomata come Concita, uno non se lo aspetterebbe".
