Il 10 aprile, in seguito alla notizia della sfiducia da parte del comitato di redazione di Repubblica al direttore Maurizio Molinari, su Il Foglio è apparso un editoriale anonimo intitolato: “In difesa della Repubblica degli editori”. Nel pezzo leggiamo che i giornalisti ribelli, al di là delle loro personali posizioni, non dovrebbero mettersi di traverso rispetto agli interessi dell’editore, ovvero la famiglia Elkann-Agnelli, e che la richiesta del direttore Molinari di abbassare i toni contro Stellantis non sarebbe così peregrina. Arriva, poi, la risposta del comitato all’editoriale anonimo: “Sul Foglio, quotidiano dalla forte impostazione per un libero mercato senza regole e che al contempo riceve importanti finanziamenti pubblici diretti, leggiamo un editoriale rigorosamente anonimo con una tesi fantasiosa: la redazione di un giornale con la storia e l’identità di Repubblica dovrebbe limitarsi a tutelare gli interessi del suo editore, abdicando così alla funzione per il quale i giornali esistono (informare i cittadini e l’opinione pubblica)”. Un’editoria che deve rimanere “pura”, ovvero sì diretta alla ricerca del profitto dell’editore, ma senza che la funzione di quest’ultimo debordi in un indirizzo volto alla tutela di interessi extra giornalistici. Giuliano Ferrara, il fondatore de Il Foglio, però, mettendo nome e cognome sul suo articolo, fornisce la sua controrisposta: “Noi ci siamo limitati a dire con humour e una punta di cattiveria che il comitato di redazione di Repubblica dovrebbe pensarci su due volte, quando fa lo sciopero delle firme, voi direste incongruamente dell’anonimato, perché un direttore, subito sfiduciato, decide di non pubblicare servizi in aperto conflitto con gli interessi dell’editore, che fa molti quattrini con l’industria e la finanza, e ne perde molti con l’editoria italiana, cioè con Repubblica”. Ferrara poi si rivolge polemicamente al “pluralismo interno” al giornale fondato da Eugenio Scalfari: “Poi è venuta la famiglia Elkann, gli eredi Agnelli. Repubblica, cambiata tanto, è purtuttavia sempre la stessa con il passare degli anni”. Ha anche aggiunto una critica al modo di intendere la funzione civile del giornalismo chiamata in causa dai protestanti: il pluralismo, infatti, dovrebbe essere e “garanzia di libertà per chi scrive e chi legge, più che all’insana mania di considerare i facitori del prodotto, prima di tutto i giornalisti, come una razza speciale di dipendenti indipendenti, custodi della linea generale e dei valori generalissimi, fino al punto di prescindere del tutto da chi investe e rischia nel prodotto che essi fanno e per fare il quale percepiscono un giusto salario da dipendenti e detengono le guarentigie della buona coscienza civile e del coraggio personale e di gruppo”.
Insomma, per Giuliano Ferrara occorre smontare il romanticismo legato al ruolo del giornalista alieno da dinamiche commerciali ed economiche: “Si può dunque tenere il punto, ma non ha senso battersi contro chi rischia del suo per tenerti a galla e farti eventualmente prosperare”. Ferrara infine chiude il pezzo ricordando che la libertà non risiede tanto in una “deontologia farlocca del giornalista il cui unico padrone, bum, è il lettore”, quanto “nella possibilità sociale di avere più editori in conflitto liberale tra loro”. Il fondatore de Il Foglio, quindi, si schiera con gli editori impuri. Anche se questi si chiamano Elkann o Agnelli.