Ammazza che botta, direbbero a Roma. La metaforica botta sulla nuca di Giorgia Meloni questa volta è arrivata da un giornale, Il Foglio, che in questi mesi la ha applaudito convintamente la premier per il suo atlantismo di ferro in politica estera, per il suo sostanziale liberismo in politica economico-sociale, e per quella percentuale di “garantismo” in politica giudiziaria assicurata soprattutto dal ministro guardasigilli, Carlo Nordio. Con un fondo non firmato, e quindi attribuibile al direttore Claudio Cerasa, ieri dalle pagine del quotidiano si è levato un attacco ad alzo zero contro Daniela Santanchè, ministra del Turismo investita in pieno da un’inchiesta di Report sulla passata gestione delle aziende Ki Group e Visibilia. Si parla, secondo la trasmissione di Sigfrido Ranucci (e prima, anche del Fatto Quotidiano), di fornitori non pagati e andati in fallimento e di dipendenti indotti alla cassa integrazione. Se riguardo Ki Group non risulta nessuna indagine da parte della magistratura, su Visibilia, che lavora nel settore dell’editoria e da cui la ministra è uscita nel 2022, la Procura di Milano dovrebbe chiudere a breve il fascicolo. La Santanchè ha diramato a stretto giro una nota in cui parla di “notizie prive di corrispondenza con la verità storica”, di “ricostruzione radicalmente non corrispondente al vero”, annunciando di aver dato mandato ai propri legali per la querela. A finire coinvolto nel caso, senza essere indagato, è anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che nelle succitate vicende era legale di Visibilia (e anche, a quanto pare contemporaneamente, di una società degli Emirati Arabi che la finanziava). La Santanchè a dimettersi non ci pensa neanche, al momento, e a colloquio con la Meloni si sarebbe difesa a spada tratta. Ma è evidente che la buccia di cane su cui, causa Report, madama Santanchè è scivolata, è bella grossa.
Così grossa che perfino il Foglio, da sempre e di norma criticissimo verso i “dossieraggi” e le campagne giornalistico-giudiziarie, ha scritto che si tratta di “una serie di condotte societarie semplicemente non accettabile per un ministro in carica”, e per giunta che i “risultati aziendali” della ex moglie di Alessandro Sallusti “sono sempre stati non soddisfacenti, una costante” della sua “attività imprenditoriale”. Questo ieri. Oggi, altra randellata, e ancor più dolorosa per sora Meloni: in un editoriale stavolta in prima pagina, incorniciato, firmato con la ciliegia simbolo di Cerasa, quest’ultimo fa le pulci, una ad una, alla linea garantista dell’esecutivo, sostenendo che in realtà lo è solo grazie a Nordio, perché quanto al resto la “destra populista” ha dato svariate prove, dieci per l’esattezza, di non essere garantista affatto (“un tubo”): dal decreto sui rave party al decreto Cutro all’utero in affitto reato universale, fino a misure passate inosservate (forse in quanto non proprio di primissimo piano), come il reato di omicidio nautico equiparato a quello stradale, o l’aumento di pena per chi minaccia il personale medico-sanitario. A ogni modo, altra sberla in faccia al governo, da parte di un giornale che, se non si vuole definirlo “amico”, di certo, fin qui, non è stato nemico. O comunque, non a priori ostile. E però, al netto della coerente linea sui suoi temi caratterizzanti, come la giustizia (è dai tempi della direzione di Giuliano Ferrara, Berlusconi imperans, che i “foglianti” sono tutti accomunati dalla feroce polemica contro i “giustizialisti”, Di Pietro, Travaglio, Grillo ecc, e naturalmente l’indirizzo si è mantenuto uguale quando il nuovo campione del momento era diventato Matteo Renzi), una doppietta di siluri così, bam-bam, non può essere riconducibile al puro afflato di idee.
Per capire come si muove un giornale, è buona regola ricordarsi che è anzitutto un’impresa. Editore della testata diretta da Claudio Cerasa è Valter Mainetti tramite la Musa Comunicazione (“con una quota pari al 100%”, si legge sul sito dell’azienda). Il cavalier Mainetti è un imprenditore e collezionista d’arte, titolare della Sorgente Group, attiva sia in Italia che negli Stati Uniti nella finanza, nell’immobiliare, nelle costruzioni, nel restauro e nell’editoria. Il figlio, Gabriele, è un attore e produttore cinematografico (suoi i successi di “Lo chiamavano Jeeg Robot” e del più recente “Freaks Out”). La Musa era presente nella proprietà della Gazzetta del Mezzogiorno e del mensile Tempi, mentre oggi, nel settore giornalistico, concentra gli investimenti sul Foglio, che è un beneficiario storico dei finanziamenti pubblici ai giornali: stando agli ultimi dati disponibili, riferiti al 2021, quell’anno ha ricevuto 1 milione 866 mila euro (in compagnia di Libero, Avvenire, Il manifesto, Famiglia Cristiana, Italia Oggi e altri). Nel 2019 Cerasa lamentava addirittura il “tentativo di chiudere” il quotidiano da parte del governo grillino-leghista, poiché non figurava nella lista di chi avrebbe avuto diritto ai contributi diretti nell’anno precedente. In quel frangente i rilievi sarcastici sulla venerazione dei princìpi liberali e la devozione per il libero mercato da parte di Cerasa, che al primo rischio di vedersi sfilare l’aiuto di Stato gridava al complotto, si sprecarono.
Ma torniamo a bomba. Perché mai il Foglio infilza così impietosamente la Meloni via Santanchè? E, per soprammercato, dopo aver colpito e affondato un altro esponente, direbbe Cerasa, della “destra populista”, o per meglio dire, nel caso di specie, sovranista, alla Orban, e cioè Francesco Giubilei, lui sì dimessosi dopo un articolo fogliante? La situazione del mercato editoriale nella carta stampata vede in questa fase i renziani, come detto da sempre fan del Cerasa-pensiero, poggiarsi ora su un giornale tutto loro, il Riformista, alla cui direzione (editoriale, non responsabile: così non si becca le querele) è andato direttamente il capo, Matteo Renzi. A destra, gli Angelucci stanno mettendo assieme un gruppo dominante, comprensivo di Libero, il Tempo e ora anche il Giornale, e sia pur con qualche maquillage simil-corrierista, per darsi un tono autorevole, faranno sostanzialmente da megafono della componente a sua volta dominante nella maggioranza, ossia il partito della premier, Fratelli d’Italia, dipinto come forza rassicurantemente conservatrice. Lo spazio che rimane è nell’interstizio fra destra-destra e centro renziano (di Carlo Calenda si sono perse abbastanza le tracce, nonostante il prezzemolismo televisivo continuativo). Il Foglio potrebbe proporsi come antenna di riferimento delle parti più moderate e più frondiste del centrodestra, zona Forza Italia per capirci, ma anche di qualche fetta degli stessi Fratelli d’Italia. Per esempio chi, ben nascosto sotto coperta, è rimasto inorridito dalle rivelazioni sulla Santanchè, la quale già aveva suscitato alzate di sopracciglia e storture di naso per il conflitto d’interesse fra il suo incarico ministeriale e le quote del locale balneare Twiga, conflitto risolto a modo suo: non dimettendosi, giammai, ma cedendole al socio Flavio Briatore e al compagno.
In soldoni, Cerasa starebbe posizionando il suo vascello nell’area di fiancheggiamento critico rispetto alla Meloni. Fiancheggiando lei e i suoi quando si attengono a un’idea di destra molto centrista, molto liberale, molto filo-Nato, e sparando addosso appena può contro i rappresentanti della destra “illiberale”, magari ancora un po’ sociale, non perfettamente allineata a quell’american style che vagheggia il Ciliegia. Come volesse fare un po’ da saggia balia moderatrice e liberalizzatrice a una Meloni che, poraccia, deve in ogni caso fare i conti con un partito e una base pur sempre di destra, e di destra come è stata, e in parte è tutt’oggi, la destra in Italia. Per intenderci, la Santanchè era quella che nel 2019, su dei Rom arrestati con l’accusa di organizzare borseggi nella metro di Milano, twittava con gaia baldanza “Subito in galera e buttare via la chiave!”. Cerasa direbbe: manettara!