Quando si parla di giustizia Giorgia Meloni ha solo due strade. Sono le stesse che tutti le indicano da mesi, se non da anni. Da un lato c’è, più o meno, Fini. Dall’altra i finiti, quelli di un partito per due anni consecutivi in rosso, che non vincono alle elezioni e sopravvivono grazie a un generale odiato pure da Bardella e Le Pen, cioè i migliori amici della Lega. Pur di sopravvivere, la Lega ha imparato a parlare di tutto, sbagliando su tutto. Ora anche sulla giustizia. E visto che seguono più i trend sui social che la rassegna stampa nazionale, Salvini pesca dallo stesso sacco di Vannacci un altro maschio italico, Cicalone. La cosa non farebbe così ridere se nello stesso governo non ci fosse un altro ministro, quello della Giustizia, Carlo Nordio, che invece prova a fare il suo lavoro. Mentre uno legge i liberali, Montesquieu, Beccaria, Locke, Bruno Leoni e scrive su Il Foglio di Winston Churchill, l’altro è uno che si scandalizzava per le invocazioni sataniche di una comica a Sanremo e ci faceva campagna elettorale. Nel ddl sicurezza leghista si propone di mettere in carcere le borseggiatrici incinte o con figli minori di un anno. Perché antiabortisti sì, ma se un figlio sta nella pancia di una zingara…
Nel ddl Nordio, invece, passato alla Camera in questi giorni, era prevista l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, una stortura della giustizia che ha portato migliaia di persone a processo per condannarne pochissime, una su dieci. Il problema, però, è che l’abuso d’ufficio riguarda quasi sempre politici, carabinieri e altri funzionari pubblici, spesso costretti a dimettersi anche se innocenti nella maggior parte dei casi. Ma pur sempre politici, carabinieri e altri funzionari pubblici, in cima alla catena alimentare. Il carcere per le borseggiatrici in gravidanza, invece, riguarda i poveracci, quelli che non hanno un soldo per pagarsi le cause, e non c’entra nulla con la sicurezza delle metropolitane. È una proposta va d’accordo con l’inasprimento delle pene per chi protesta sotto al Ponte sullo Stretto che non c’è (altra proposta Lega), più o meno l’unica grande opera che Salvini punta a costruire per essere rieletto, e l’unica cosa che da anni, nonostante le dichiarazioni, non sta ancora partendo.
L’articolo più bello sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio lo ha scritto un filosofo. Si chiama Massimo Adinolfi, lo ha pubblicato su La Stampa. Ma non serve aver letto Hegel per capire che si tratta di un cambiamento, anche se non rivoluzionario, che va nella direzione giusta. Può capirlo anche Meloni. Ma Adinolfi lo spiega chiaramente: le preoccupazioni ci sono, soprattutto per colpa del quadro politico generale, visto che su alcune cose la destra di governo si comporta da liberale e su altre da troglodita. E il problema di tenere insieme una riforma della giustizia come quella di Nordio e i deliri di un partito morente – altro che Biden – è di far passare questo messaggio: salviamo i colletti bianchi dalla malagiustizia ma diamo addosso ai poveracci. Salviamo i potenti e bastoniamo chi non ha gli strumenti e i soldi per difendersi.