A dire il vero Giorgia Meloni era stata invitata oltre la Muraglia da Xi Jinping in persona nel novembre 2022. La premier italiana aveva tuttavia risposto picche al presidentissimo cinese preferendo, all'epoca, concentrarsi sull'alleanza con gli Usa per avere uno scudo in Europa. Nel frattempo Roma ha definitivamente accantonato la Nuova Via della Seta, cestinando il memorandum d'intesa firmato nel 2019 con Pechino, e scelto di prendere le distanze dal Dragone.
Peccato che mentre Meloni si allontanava dalla seconda potenza economica del mondo, pensando di incarnare la stella più luminosa del firmamento atlantista, gli altri leader europei hanno continuato a flirtare con Xi. Dal presidente francese Emmanuel Macron al cancelliere tedesco Olaf Scholz, per non parlare del primo ministro ungherese Viktor Orban, i principali attori del Vecchio Continente hanno visitato la Cina per tutelare gli interessi dei rispettivi Paesi. A colpi di pragmatismo e realpolitik: quelli che sono mancati al governo Meloni.
Morale della favola: Meloni arriverà nei palazzi del potere cinese con estremo – e colpevole – ritardo. E cioè quando i principali dossier riguardanti Cina ed Europa saranno ormai decisi da tempo. E quando, molto probabilmente, Roma non potrà far altro che strappare a Xi un simbolico accordo di amicizia.
Non c'è più, infatti, l'adesione alla Via della Seta (Belt and Road, BRI) a rendere l'Italia un partner preferenziale per Pechino. Al massimo Meloni potrà – come effettivamente farà – rivendicare il partenariato strategico globale avviato nel 2004 dal governo Berlusconi, un patto troppo generico per poter cercare di fare retromarcia.
Le due parti cercheranno in ogni caso di inserire lo “spirito della Via Seta” - leggi: cooperazione, apertura e inclusione – nel suddetto partenariato, presumibilmente da aggiornare ai tempi correnti. Cui prodest? La Cina, in seguito a quanto ipotizzato, rivendicherà di aver mantenuto solidi rapporti con l'Italia anche senza BRI. Dal canto suo, il governo Meloni spera invece di recuperare terreno agli occhi dei cinesi, che in Europa hanno da tempo dirottato fiducia e preferenze su Francia e Germania. A dire il vero è sempre stato così, solo che l'adesione alla Via della Seta aveva offerto a Roma una chance – non sfruttata - per “salire di livello”.
Vale però la pena ricordare a Meloni che Pechino, a fine luglio, non è un posto consigliabile per effettuare un tour, sia esso istituzionale o di piacere. Le temperature, nella capitale cinese, raggiungono spesso i 35 gradi e il clima, caldo e afoso, non aiuta a godere delle bellezze locali. In altre parole, la Cina d'estate non è l'Albania, visitata dalla premier un anno fa e pure lo scorso giugno.
Diciamo questo perché il prossimo viaggio di Meloni rischia, per quanto sopra sintetizzato, di trasformarsi in uno scambio di cortesie collocabile ai limiti dell'inutilità diplomatica. Il motivo è semplice: l'abiura di Roma della Via della Seta continuerà a compromettere le relazioni sino-italiane come una spada di Damocle.
Nell'ottica di Xi, inoltre, Meloni può offrire pochissimo alla geopolitica della Cina. Il Dragone ha semplicemente scelto di dialogare con Scholz per quanto riguarda l'economia europea (dazi sulle auto elettriche made in China), con Macon per gli altri dossier politico-militari (guerra in Ucraina). E con Orban per tutto il resto. Rientrare in carreggiata, per Meloni, non sarà facile. Le servirebbe un miracolo.