Per Jeremy Clarkson alcune storie di giustizia sono talmente intense ed edificanti da lasciargli i brividi addosso. Spesso, dice l’ex Top Gear, i brividi si manifestano quando si racconta la caduta di un buffone. “Ed è successo di nuovo mentre leggevo della sorta di nazionalizzazione degli stabilimenti siderurgici di Scunthorpe”. Ma di cosa si tratta? “È una storia in cui tutti quanti fanno una pessima figura. I tories hanno dovuto riconoscere che, se avessero lasciato chiudere l’ultima acciaieria di questo tipo in Gran Bretagna, i britannici sarebbero diventati l’unico Paese del G7 senza impianti per la produzione di acciaio. Questo ha scosso il loro tradizionalismo a tal punto da costringerli ad abbandonare uno dei pilastri fondamentali della loro identità politica: hanno votato in Parlamento per confiscare l’impianto ai privati e affidarlo al controllo statale”. E i labouristi? “Da un lato predicavano l’urgenza di raggiungere l’obiettivo ‘emissioni zero’, dall’altro si sono trovati costretti, per salvare migliaia di posti di lavoro sindacalizzati a Scunthorpe, a prendere il controllo di un'acciaieria e a importare immediatamente carbone da coke dal Giappone per mantenere accesi gli altiforni”. Brividi, dice ancora Clarkson. Il peggio “è che tutti quei ragazzini undicenni che siedono ai banchi dei Comuni, da entrambe le parti, hanno dovuto rinnegare i propri principi e votare contro ciò che hanno sempre difeso”. Tutto questo a causa dello scontro con la realtà. Di fatto, aggiunge ancora l’ex Top Gear, “l’unico modo per tenere aperto quell’impianto era nazionalizzarlo e alimentarlo con carbone giapponese”. Non c’è però solo la soddisfazione, il brivido appunto. Il problema è che “si è fatta largo l’idea che la nazionalizzazione sia necessaria in certi casi”. E questo vuol dire che nel prossimo futuro “alzeranno voci per reclamare la statalizzazione dell’acqua, della rete ferroviaria, dell’energia, di tutto — come se Margaret Thatcher non fosse mai esistita. Perfino Nigel Farage sembra favorevole a questa assurdità”. Ma per Clarkson la vera causa del problema sta al vertice: Jonathan Reynolds, il ministro dell’Industria, “famoso per la sua barba folta” ma che di acciaio non saprebbe nulla. “Non ha alcuna esperienza di gestione aziendale. E ora dirige la British Steel. Farà un disastro”. Poi si passa a Ed Miliband, leader laburista, che suggerirà al ministro di “tentare di produrre acciaio usando narcisi e tofu”; anche i sindacalisti avranno da dire e “gli ordineranno di non tagliare posti di lavoro”. Non mancheranno le telefonate “da Land Rover, che gli diranno che, se i prezzi non si manterranno bassi — cosa ardua se il carbone arriva dal Giappone invece che da Doncaster — compreranno l’acciaio dai tedeschi”.


Quali soluzioni propone Reynolds? “In modo esilarante, non esclude un accordo con i cinesi. Ma scommetto che i cinesi rifiuteranno: perché mai dovrebbero investire sapendo che il governo può espropriare tutto da un momento all’altro?”. Ancora Clarkson sul Sunday Times ricorda che, con l’esperienza degli anni Settanta, è sicuro di poter dire che le industrie nazionalizzate non funzionano. E si spinge ancora oltre: “Lo so che finirò in prigione per averlo detto, ma anche il servizio sanitario nazionale funzionerebbe meglio se fosse privatizzato. Perché tutto funziona meglio in mano ai privati”. “La scorsa settimana ho guardato il docudrama The Diamond Heist, ideato, come tutto su Netflix ultimamente, da Guy Ritchie”, un’opera che celebra un’epoca “in cui i criminali avevano ambizione e astuzia, e la polizia si dava davvero da fare, invece di passare le giornate in commissariato a monitorare Twitter”. Il vero protagonista del film è però il Dome, la sala concerti situata nel nord di Londra: “Avevo dimenticato quanto fosse terribile: tutta quella retorica proto-woke, la zona della fede, le celebrazioni etniche, quella donna senza sostanza. In modo esilarante, si aspettavano 12 milioni di visitatori, ma, dato che tutte le esposizioni erano state curate da Tony Blair, Peter Mandelson e altri idioti governativi, ne arrivò appena la metà. E ora scopriamo — spoiler — che anche il diamante esposto non era autentico”. Tutto questo, conclude Clarkson, ci dice che il Dome oggi resta “un utile promemoria dell’inettitudine dei governi. Dopo che è passato nelle mani dei privati, è stato riempito di concerti di Bon Jovi, Led Zeppelin e Fleetwood Mac. E ora, 25 anni dopo la sua prevista demolizione, è ancora lì, più vivo che mai. Forse anche perché la sua struttura era fatta di acciaio privatizzato”.
