Dove c’è un consiglio di amministrazione, c’è John Elkann. Se la presidenza fosse una disciplina olimpica, il rampollo di casa Agnelli gareggerebbe da solo, con un oro già al collo prima ancora di entrare in pista. Dopo Stellantis, Ferrari, la guida di Exor e il seggio nel board di Meta, Elkann ha deciso che gli serviva un’altra poltrona. E così è diventato presidente di Vento, il fondo italiano di venture capital early-stage più attivo nel Paese. Un’altra nomina? Certo, perché no. Dopotutto, il suo curriculum sembrava clamorosamente incompleto senza un piede nel venture capital. Ma questa volta, almeno sulla carta, l’operazione sembra avere un senso.
Nato nel 2022, Vento è diventato in breve tempo un riferimento per le startup italiane, con un obiettivo ambizioso: «individuare, sostenere e far crescere la nuova generazione di imprenditori italiani» (Milano Finanza). Finora ha investito in 100 startup e ora, con il nuovo Fondo II da 75 milioni di euro, punta a effettuare 375 investimenti nei prossimi cinque anni. Una dichiarazione d’intenti forte, accompagnata dalle parole del nuovo presidente: «A quasi tre anni dal lancio di Vento, siamo orgogliosi di rinnovare il nostro impegno e sostenere i migliori imprenditori italiani con un nuovo fondo», ha detto Elkann (Milano Finanza). «La passione che anima i loro progetti innovativi e i successi già raggiunti ci spingono a perseguire obiettivi ancora più ambiziosi».

Vento vuole accelerare il settore tech italiano, ma non disdegna i mercati esteri. La strategia è chiara: investire in startup fondate da italiani, ovunque essi siano. Non importa se a Milano, Londra, New York o Berlino: se sei un founder italiano, Vento vuole parlarti. L’ambizione di fare da ponte tra l’ecosistema italiano e gli investitori globali è evidente. Finora, il fondo ha analizzato oltre 3.500 startup, con un tasso di selezione ferocemente selettivo del 2,5%. Un investimento standard si aggira intorno ai 150.000 euro, con possibilità di follow-on per le aziende più promettenti. E, se le startup italiane non bastano, Vento fa impresa direttamente. Il suo programma di venture building ha già dato vita a 26 nuove aziende, diventando uno dei più apprezzati in Italia.
Elkann ha anche scelto con cura la compagnia. Nel Comitato d’Investimento troviamo pesi massimi come Diego Piacentini (ex vicepresidente di Amazon), Mike Volpi (partner di Index Ventures) e Jean de La Rochebrochard (managing partner di Kima Ventures). Traduzione: se hai una startup italiana con del potenziale, qui dentro potresti trovare chi ti scrive l’assegno che ti cambia la vita. E Vento non si limita a fare da fondo di investimento. È anche l’organizzatore dell’Italian Tech Week, il più importante evento tech in Italia, con ospiti che negli anni hanno incluso Elon Musk, Sam Altman (OpenAI), Reid Hoffman (LinkedIn), Brian Chesky (Airbnb) e Daniel Ek (Spotify). L’ingresso di John Elkann in Vento non è casuale. Exor sta puntando con decisione sulla tecnologia, e il venture capital è il modo perfetto per posizionarsi su un settore in crescita senza le rigidità dell’industria tradizionale.

Ma sorge una domanda spontanea: quanta attenzione può realmente dedicare il presidente di Stellantis, Ferrari, Exor e membro del board di Meta a un fondo di venture capital? Elkann è un uomo d’affari con una visione chiara, ma il rischio di diventare “troppo onnipresente per essere incisivo” esiste. Con Maserati in crisi, Stellantis che delocalizza, Ferrari che si gioca il futuro tra elettrificazione e lusso, e il risiko bancario italiano in pieno fermento, c’era davvero bisogno di un altro incarico? Oppure, come sempre, è tutta una questione di potere e posizionamento strategico?
L’idea di supportare il venture capital italiano è indiscutibilmente valida, e con le giuste mosse, Vento potrebbe davvero diventare la piattaforma di riferimento per le startup italiane nel mondo. Ma Elkann sarà davvero coinvolto in prima linea, o Vento sarà solo un’altra casella nel suo impressionante (e ormai interminabile) elenco di cariche? Una cosa è certa: se il venture capital italiano voleva un grande nome per farsi notare, con Elkann l’ha trovato. Ora, resta da vedere se sarà un semplice sponsor di lusso o un vero catalizzatore per il futuro dell’innovazione italiana.