Il caso Ferragni rappresenta solo la punta di un Iceberg che sotto le torbide acque della raccolta fondi nasconde - in moltissimi casi - grandi utili per chi le organizza. Non c’è da scandalizzarsi né da puntare il dito contro l’imprenditrice che in questo momento ha soltanto svolto il ruolo di parafulmine per un sistema molto più esteso di quel che può apparire. D’altronde, grazie a Selvaggia Lucarelli, si scopre (solo oggi?) che la Ferragni era già stata oggetto della stessa operazione con le uova pasquali. Per questa ragione non intendo parlare solo di lei, ma piuttosto di tutto il sistema che ruota attorno ad alcuni influencer, artisti e organizzazioni connesse al settore musicale, che negli ultimi anni sembrano aver riscoperto d’improvviso il senso civico della beneficenza, delle opere di carità, dell'assistenza ai bisognosi e dell'importanza della ricerca fondi per le strutture ospedaliere specie poi, chissà perché, quelle destinate alla accoglienza di bambini. Gli anziani e le case di cura, per esempio, non se le caga nessuno, come nessuno si occupa dei senza tetto, delle mense delle caritas e molto altro ancora. La ragione è molto semplice: la beneficenza è diventata (per fortuna non sempre accade questo) una forma non solo di guadagno economico ma di attività promozionale che genera hype attorno ai soggetti coinvolti. E spesso a trarne numerosi vantaggi non sono solo gli artisti o gli influencer che mettono in pratica una comunicazione e una strategia di marketing studiata nei minimi particolari, ma anche gli enti destinatari degli aiuti o le aziende partner che ne ricavano pubblicità. Non dimentichiamo poi la fiscalità che, seppur con certi limiti, aiuta i donatori e le Onlus. E non dimentichiamo nemmeno che in casi come quello del pandoro rosa bisogna comprendere bene il ruolo dell’azienda promotrice della iniziativa: per esempio, nel caso Ferragni, il ruolo di Balocco è qualificabile come sponsor/placement? In questo caso, se la risposta fosse positiva, la fiscalità avrebbe un impatto sicuramente più importante per le deduzioni per la stessa Balocco. Con la conseguenza di un duplice tornaconto: abbattimento delle imposte e pubblicità.
La grande attenzione di influencer e artisti verso la beneficenza resa pubblica ed esibita come medaglia sul petto è nata dopo la pandemia, per poi svilupparsi con una impennata, simile ai titoli in borsa, negli anni a seguire; una moda che ha riguardato, dati alla mano, moltissimi esponenti del mondo della musica. La “Beneficenza Spettacolo” è un business che muove milioni di euro. Bello l’intervento di Alessandro Gassmann a riguardo, riportato da Fanpage. Le azioni benefiche rese pubbliche e manifestate con video, post, storie, o anche banalmente raccontate durante le interviste sui giornali, hanno una valenza più tesa alla valorizzazione dell'immagine del talent o della organizzazione che gestisce eventi di raccolta fondi piuttosto che alla finalità delle stesse. Questo tipo di attività, oggi, nell’epoca dei social, diventa fonte di proventi indiretti e legati, per esempio, alla crescita sui social stessi; crescita che a sua volta genera reddito. Tutto è messo in opera solo per visibilità e danaro. Qual è quindi la necessità di manifestare pubblicamente le proprie azioni benefiche? E a cosa serve ripetere continuamente nelle interviste la fatidica frase “faccio tanta beneficenza ma non lo dico”? È realmente ipocrisia oppure è una studiata operazione di marketing? Non mi sembra che Vasco, Ligabue, Zucchero - e ne potrei citare centinaia - abbiano mai manifestato le proprie attività a sostegno dei bisognosi o di enti ospedalieri o altro. Sono proprio così cattivi e avidi oppure semplicemente questi grandi artisti non sono cosi malati di protagonismo “social” da aver bisogno, per essere accettati dal popolo e dalla gente comune, di condividere pubblicamente le proprie attività benefiche? Oppure semplicemente non ricorrono a marchette commerciali per ottenere i meravigliosi due vantaggi, quello economico e quello legato alla valorizzazione della propria immagine, che è diventata pratica oramai, specie durante le ricorrenze, di questo nuovo star system social e artistico dei figli di Instagram? E quindi scandalizziamoci per Chiara Ferragni e nel frattempo lasciamo correre tutti gli altri. E in modo particolare freghiamocene di ciò che accade durante gli eventi musicali in piazza Duomo a Milano, nelle arene, e in tutti i luoghi dove enti pubblici e privati finanziano mega concerti che filtrano e consumano massa di danaro che in realtà potrebbe essere donata direttamente a chi ha bisogno di aiuto senza alcuna “dispersione” o vantaggio economico per chi già sta bene di suo. Si investe 100 per organizzare un evento, per raccogliere, se va bene, 20 da destinare ai beneficiari della raccolta benefica. Una follia. Era il 13 luglio dell’85 e non c’è nessuno della mia età, appassionato di musica, che non possa ricordare quello che accadde. Quel giorno cambiò per sempre non il futuro dell’Etiopia ma la storia del rock, riportandolo a galla nel momento in cui trionfava la dance: il Live Aid organizzato da Bob Geldof. Tutti erano grati a colui che per primo comprese che la musica poteva aiutare la gente. Una diretta tv in cento paesi del mondo e due miliardi e mezzo di persone sintonizzate a guardare, ascoltare e donare: 150 milioni di dollari raccolti, alla fine. Non era mai successa una cosa simile. Nessun artista percepì danaro, tutti parteciparono a proprie spese all’evento. Anni dopo però la Bbc accusò Geldof sostenendo che i soldi erano finiti nelle mani dei guerriglieri: armi, invece di grano e prime necessità. Dopo mesi chiesero scusa e nessuno ha mai saputo cosa accadde realmente. Ora, guardiamo le spese e i cachet degli artisti che salgono sui palchi per eventi in cui si raccolgono fondi. Magari mi sbaglio e ne sarei felice. In alcune operazioni di raccolta fondi praticate negli eventi italiani esiste un notaio o un pubblico ufficiale che controlla la cassa? Quando spendono, come spendono, chi realmente viene pagato, quanto guadagna l’organizzatore, quando prende chi mette a disposizione le location, eccetera... In poche parole quanto drenaggio di danaro c’è prima che le somme effettivamente arrivino al destinatario finale? Sarebbe bello avere delle risposte. Ripeto, però, non faccio di tutta l’erba un fascio! Ma sarei curioso se qualcuno andasse a verificare cosa accade realmente...
E torniamo alla Ferragni. Che Chiara Ferragni sia capace di generare soldi da tutto quel che fa (manca solo la monetizzazione da momenti di vita più riservati e pudici), dal mettersi gli slip e reggiseno, dal vestirsi, dal fare colazione, dal prendere il caffè, dal fotografare i figli, dal prendere l’ascensore, dall’entrare in garage e prendere l’auto e fino al vivere la giornata di lavoro, questo è indubbio. E bisogna farle i complimenti perché è il suo lavoro e lo fa bene! Ed è anche parte del suo lavoro chiedere scusa in tuta grigia da 600 euro, andata sold-out in poco tempo, e anche forse indossare un makeup per facce tristi finto pianto della marca tal dei tali: cosa ci scandalizziamo a fare? Tra l’altro il video, tuta mood, trucco e modalità di ripresa, è palesemente copiato da quello di Salma Shawa, una attivista palestinese. Non mi scandalizza nemmeno il fatto che se non fosse stata sgamata avrebbe tenuto per lei i soldi in buona pace dei Pandori Nazionali. Sapete onestamente cosa mi ha ricordato questa storia? Una parte (ovviamente) del processo visto in tv e sui social che ha riguardato Amber Heard. L’attrice utilizzò la beneficenza come manifesto “promozionale” per la sua immagine ma in realtà non aveva donato nulla. Solo dopo essere stata scoperta ha provveduto a donare una piccola parte sostenendo di non aver potuto procedere per via di intervenute difficoltà economiche e comunque sostenendo che prima o poi avrebbe devoluto una precisa somma in beneficenza. Devo anche ammettere che sono andato proprio a riguardare questo documentario perché in alcuni momenti il video della Ferragni mi aveva riportato alla mente l’immagine della Heard durante certe fasi del suo interrogatorio. Mi sono interrogato, come molti credo, sul confine tra la recitazione e la realtà della sua deposizione. E questo vale anche per il video della Ferragni, ovviamente. Lei è una venditrice e nel commercio la “finzione”, la “recitazione” sono i pilastri su cui si regge un'attività. Ma quel che più conta, e di cui nessuno parla, è la assoluta capacità della coppia di trasformare tutto ciò che gli accade, perfino il tumore e la psicoterapia in Marketing. Una capacità che dovrebbero esportare negli USA anche per contrastare la perdita di uno degli asset che proprio in America ha un enorme valore addirittura nel determinare la sopravvivenza o la “morte “ di una azienda: La Reputazione! La reputazione è un asset aziendale che oggi vale oltre 10 miliardi di fatturato annuo. Per disastri reputazionali hanno chiuso, specie negli Usa, aziende grossissime. In Italia è un valore che viene considerato fondamentale per moltissime imprese ma non per il gruppo Ferragnez. Certo in famiglia non sono nuovi nella abile arte dell’addossare ad altri responsabilità. Accade oggi nel caso di Fabio Maria D’Amato, testa da tagliare per lo scandalo del pandoro, ma accadeva anche nel gennaio 2022 quando accusavano di truffa un ex dipendente della Doom, società di Fedez e della mamma, assolto il 28 novembre scorso dal giudice Paolo Guidi con notizia chiaramente passata sotto tono. Ma quanti sono i casi in cui Fedez si è trovato coinvolto in strani rapporti di lavoro/amicizia coperti da un'alea di mistero inspiegabile. Dai litigi mai chiariti con J-ax e Rovazzi, passando per aspri dissing con Salmo, e si potrebbe compilare a riguardo una lista lunghissima. Tutti, tranne le “incomprensioni” con Guè, Marra e per adesso con Luis Sal, finite con riappacificazioni che mai nessuno avrebbe immaginato potessero verificarsi, proprio per gli incredibili sputtanamenti di Fedez nei confronti dei colleghi su social, programmi tv. Eppure pace fatta con Salmo, Jax, Rovazzi and more. Mentre è fallito il banale tentativo di utilizzare nei suoi post il figlio come fan di Gue dato che, almeno finora, il rapper non ha abboccato. Stessa cosa dicasi di Marra. Potrei davvero continuare con episodi che conosco anche per averli direttamente vissuti, ma preferisco fermarmi qui. Comunque è innegabile la stranezza dei comportamenti di quelli che “discutono” con Fedez. Prima o poi “chiariscono”. Magia del Natale, anche se i chiarimenti avvengono in altri mesi. Nessuno mette il becco sulle faccende della famiglia più potente d’Italia. Una famiglia che conta sul consenso di 29,5 mln di follower per la Ferragni e di 14,8 mln Fedez. E in Italia siamo poco meno di 60 mln di persone. È una famiglia che conta su una forte disponibilità di danaro e di forza comunicativa in grado di “influenzare” (da cui il termine del loro mestiere, influencer) moltissime menti fragili, ma anche di catturare l’interesse di una parte del potere politico. I Ferragnez possono sbagliare. Hanno il via libera per tutto, tanto non accade nulla. Sono un muro di gomma. Guardate le partecipazioni e gli ospiti di Muschio Selvaggio, guardate il sostegno dato dal Comune di Milano (meno dalla Regione), dalla Rai che pur trattata a pesci in faccia si piega e si inchina al loro cospetto. Insomma vi meravigliereste se dopo “chiama la mamma e chiama l’avvocato” anche il fido Luis Sal, magari tagliato fuori dalla “politica di corridoio” in cui il suo ex sodale è maestro, non avendo più opportunità lavorative all’improvviso torni con la bandiera bianca in mano a chiedere perdono? Io no. Come dice oggi Vasco Rossi in una delle sue puntuali affermazioni attraverso i social: “Vanno avanti soprattutto gli ipocriti. Vedo tanta ipocrisia in giro e vedo che l’ipocrisia alla fine vince perché si vede che fa piacere sentir dire delle cose completamente ipocrite da degli ipocriti”. E a proposito di ipocrisia vi do un ultimo e freschissimo esempio. Il 24 dicembre Rondo da Sosa si fotografa con Fedez e oggi attacca tutti i rapper che vanno a Sanremo. Ma Fedez non è un “rapper”?