Siamo ormai all’anniversario del primo anno di guerra fra Russia e Ucraina. L’Italia, schierata nella Nato contro Mosca, ha suggellato l’infelice ricorrenza con una visita ufficiale di Giorgia Meloni nel Paese governato da Volodymyr Zelensky, con tappe a Bucha e Irpin, luoghi-simbolo del conflitto, sanguinoso come sono tutte le guerre. Anche il presidente degli Usa, Joe Biden, è volato a Kiev per incontrare il premier ucraino, portando altri aiuti economici dopo quelli militari (eccetto i caccia, un’arma non troppo potenzialmente rischiosa per un’escalation che Washington vuole invece tenere sotto controllo). Ma ieri, 21 febbraio, è stata soprattutto la giornata del discorso all’assemblea federale russa di Vladimir Putin: un’orazione a tutto campo che non solo ha toccato i più scottanti temi geopolitici e bellici (la promessa di nuove dotazioni avanzate, leggi nucleari, e la sospensione del trattato Start sull’atomica), ma anche più politici e perfino culturali, con un attacco frontale, seppur non certo inedito, all’Occidente decadente (cui non sono stati insensibili gli oligarchi russi del passato, che “investivano in yacht all’estero” anziché nell’economia della madrepatria, chiaro avvertimento per i possibili “traditori” interni di oggi). Un’esposizione, si potrebbe dire, dell’ideologia putiniana in grande stile, l’ennesima. Rivolta, almeno in questa seconda parte, più a galvanizzare i propri sostenitori, che non a un’impossibile opera di convincimento delle masse occidentali. Anche se non proprio del tutto, come fa presente nell’intervista che segue Nicolai Lilin, scrittore di origine russa naturalizzato italiano, famoso per i suoi romanzi ambientati nella Grande Madre Russia, da “Educazione Siberiana” (2009) al più recente “Ucraina. La vera storia” (2022). C’è infatti anche da noi in Occidente, inclusa l’Italia, una fetta di opinione pubblica che non sarebbe poi così estranea ai richiami conservatori dell’autocrate del Cremlino.
Nicolai Lilin, nel suo discorso Putin ha detto a chiare lettere che il presupposto della guerra è il “diritto supremo della Russia a essere forte”. Ora, anche i più suoi fieri avversari, per esempio la figlia di Anna Politkovskaja, ammettono che gode di un ampio consenso popolare. Ma è su questa idea della forza, della potenza, che i russi lo seguono? È un concetto che qui noi in Occidente non abbiamo più, se non ammantato con la missione di democrazia universale.
Quando i Russi parlano di forza, di potenza, parlano soprattutto della capacità di difendere il proprio territorio. L’Occidente, soprattutto quello anglosassone, ha avuto ed ha una propulsione politica violenta e predatoria nei confronti del resto del mondo: colonizzare, imporre le proprie regole, fomentare rivoluzioni, spodestare leader sgraditi. In Russia invece l’impulso politico fondamentale è all’autosufficienza, non essere dipendenti da nessuno, ed essere in grado di difendere la propria indipendenza. È questo che a grandi linee dice Putin dal 2007 a oggi, dal famoso discorso a Monaco. La sua retorica non è cambiata di una virgola.
Sarà difensivo, il valore che i russi attribuiscono alla potenza, ma intanto l’esercito russo ha invaso l’Ucraina, in un’operazione offensiva.
Sulla questione di aggredire altri Paesi, questa è un’altra visione tutta nostra occidentale. Per noi, giustamente, l’Ucraina è un Paese come gli altri. Per i russi, invece, è una parte della Russia. L’Ucraina è diventata Ucraina grazie ai comunisti che nel 1917, con Lenin, Stalin e Kaganovic, in quattro e quattr’otto hanno creato questa entità prima inesistente, mettendo insieme diverse regioni dell’Impero Russo, chiamandola così e promuovendo un’identità ucraina perché a loro serviva come una vetrina per il mondo, soprattutto occidentale. Volevano dimostrare, in particolare Lenin, grande teorico della rivoluzione internazionale, che per convincere i compagni degli altri Paesi ad appoggiare e unirsi all’Unione Sovietica, bisognava creare realtà nazionali attorno alla Russia. Il messaggio era: avete visto? Sono Stati indipendenti ma sono con noi, perché sono comunisti. È questo il senso storico dell’esistenza dell’Ucraina. Da quando però non c’è più il comunismo e non c’è più l’Urss, i russi si chiedono: e mo’ quando ce la riportiamo a casa?
In Italia ripetuti sondaggi hanno acclarato che la maggioranza degli italiani è contraria ad aiutare militarmente l’Ucraina. La Meloni invece tira dritto, e ieri ha liquidato semplicemente come “propaganda” le parole di Putin. Secondo lei, quando quest’ultimo parla di “catastrofe spirituale” e “degenerazione” dei costumi in Occidente, può far breccia, per paradosso, proprio nell’elettorato conservatore che in Italia vota la Meloni? Non c’è un possibile cortocircuito?
Putin è sicuramente un conservatore. Ma un conservatore non liberale, anzi anti-liberale. Ciò che rappresenta il movimento liberale, o neo-liberale, è respinto dalla gran parte dei russi, e non piace neanche a molti qui in Europa. Quando parla di degenerazione e crisi spirituale europea parla di fenomeni dei quali l’apice è, per stare all’Italia, il Festival di Sanremo, o in generale ai meccanismi di potere che hanno perso il legame con la vita reale del popolo. Per questo il grave problema occidentale è la totale assenza di identità. Noi non abbiamo più crisi d’identità, quella l’abbiamo già passata. Noi un’identità non ce l’abbiamo proprio, ci siamo trasformati in stomaci ambulanti. Siamo solo dei consumatori, e ci meritiamo politici come la nostra premier che, dopo essersi insediata da soli pochi mesi, si permette di definire “propaganda” le parole di un leader di Stato che è al potere da più di vent’anni. Io se fossi un politico al governo, come minimo starei ad ascoltarlo, ovviamente senza per questo essere d’accordo. Il fatto che è noi non abbiamo più l’umiltà di cercare di capire il punto di vista dell’altro, perché non abbiamo più una unità di misura, e questo perché non sappiamo più chi siamo.
Bisogna dire che la Meloni era in Ucraina, non avrebbe probabilmente potuto, oltre che voluto, dire niente di diverso. Ma il cortocircuito cui facevo riferimento è quello per cui sono proprio gli elettori di destra ad essere più sensibili al patriottismo e all’appello ai valori tradizionali, o no?
Ma infatti vedrà che alle prossime elezioni la Meloni non verrà più votata così. La Meloni ha tradito completamente i suoi elettori. Lei inizialmente sosteneva Putin, poi è arrivata al potere e ha dovuto fare una giravolta a 360 gradi, e direi anche a 90 gradi di fronte all’America, e così ora abbiamo una che svolge il suo incarico negli interessi dei poteri forti. Del resto, è la premier. Ma io nei suoi confronti ho anche stima, è la prima donna capo del governo. Non vorrei trovarmi al suo posto, però. Non riesco a immaginare che tensione debba subire. Sul piano della fredda analisi, sta commettendo errori enormi, ma li commette chiunque sta nello schieramento a guida anglosassone.
Putin ha anche puntato il dito, in senso derisorio, quei “sacerdoti costretti a benedire i matrimoni gay”, riferendosi alla Chiesa Anglicana che ha dato il via libera in questo senso. Perché infila sempre la dimensione religiosa, nelle sue uscite più programmatiche?
Molto semplice. La maggioranza dei russi, da sempre e anche oggi, è ortodossa. L’ortodossia russa, per dirla in breve, è il ramo più estremo della fede cristiana. Si chiamano ortodossi proprio perché più fedeli alla radice del cristianesimo. Da loro non ci si può aspettare altri discorsi. È per questo che non vivo in Russia: perché mi piace la diversità e la varietà di punti di vista. Ma in Russia è così, e questo li aiuta a preservare la loro identità, in maniera convintissima. Putin è un politico, e perciò mette la questione religiosa fra le priorità.
Ma è una sensibilità trasversale fino a comprendere la sinistra russa, il Partito Comunista?
Certo. I comunisti russi, che rappresentano una grande percentuale di elettori, hanno fatto la pace con la Chiesa Ortodossa. L’idea marxista-leninista della religione come oppio dei popoli è stata sostituita da quella di Stalin, secondo cui la religione è uno strumento per tenere unito il popolo. Del resto Stalin, da buon ex seminarista, sapeva qual è il potere della religione. Per questo quando la Russia fu invasa dai nazisti Stalin usò anche la propaganda religiosa per unire il popolo contro l’invasore.
In un punto Putin ha calcato la mano in senso scopertamente propagandistico, quando ha distinto fra “governo nazista” di Kiev e “popolo ucraino”, contro cui invece la Russia non starebbe combattendo. Le popolazioni che soffrono per i bombardamenti non la penseranno così.
Dipende a quale popolo si riferisce. Quando noi parliamo di popolo ucraino anche noi occidentali facciamo confusione. Quale popolo ucraino aiutiamo noi? Quello dell’est, del Donbass? O quello delle zone centrali, che sta fra due fuochi? O quello a ovest, che sogna di diventare europeo staccandosi da quel manicomio e guadagnarsi la pagnotta dignitosamente? La guerra in Ucraina è legata al fatto che i governi di Kiev non sono stati in grado di gestire la multietnicità interna. Il fatto che il governo ucraino abbia fatto massacrare il proprio popolo nel Donbass dal 2014 a oggi, visto dai russi e da Putin, viene interpretato attraverso la loro visione della storia. Non guardano all’Ucraina come la guardiamo noi. Loro vedono degli ucraini nazisti che massacrano dei loro fratelli russofoni, e quindi, pensano, entriamo dentro e li facciamo a pezzi. Putin con questo discorso ha parlato al proprio elettorato. Biden invece in Ucraina ci è andato non per parlare agli ucraini o a noi occidentali, ma ai cinesi, per far loro capire che non devono impegnarsi per nessuna soluzione pacifica, perché la guerra deve essere portata avanti fino a quando non verranno raggiunti gli obbiettivi degli Stati Uniti, fine.
Putin c’entra anche con una notizia che la riguarda a proposito di Matteo Messina Denaro, il boss mafioso nella cui biblioteca è stato trovato anche un suo libro, “Putin. L’ultimo zar”. Cosa avrebbe dovuto imparare da quel libro, il mandante di omicidi efferati e attentati ai giudici?
Io ho scritto quel libro per raccontare la tragica trasformazione dell’uomo Putin, davvero degna di una tragedia greca. L’ho visto come un Minotauro, un essere divorato dal mostro che stava all’interno della sua anima, che si è rivelato a mano a mano che si avvicinava al potere assoluto. Per me Vladimir Putin è questo: una persona che ha sacrificato la propria umanità per votarsi totalmente al potere assoluto. Come giudicarlo, questo sarà compito degli storici. Io sono uno scrittore e a me interessa il processo umano. Spero che Messina Denaro leggendo questo libro abbia compreso quale forma nociva sia il potere quando si esercita sull’animo umano. Anche lui rappresenta, o rappresentava, un potere. Penso che per questo motivo possa sentirsi vicino a Putin: perché coloro che sacrificano la propria vita per il potere, sono attratti l’uno dall’altro. Poi, devo dire che ho ricevuto dei messaggi anche poco simpatici, qualcuno mi ha scritto che sono lo scrittore della mafia e così via. Io scrivo libri per i miei lettori e fra di loro ci sono persone varie, e sono anche contento che fra essi ci sia Matteo Messina Denaro con tutto il suo trascorso, che fra l’altro ora avrà molto più tempo per leggere libri. Spero che ora si limiterà a questo, ma non giudico nessuno. Per giudicare una persona bisogna poter entrare nella sua vita e capire perché ha fatto certe scelte. Allo stesso tempo non giustifico quel che ha fatto. Ma il giudizio, lasciamolo ai giudici.