Ci vorrebbero Martin Scorsese o Francesco Rosi, in un film che dovrebbe essere una via di mezzo tra Quei Bravi Ragazzi e le Mani sulla Città, per raccontare la saga della famiglia Angelucci, i padroni di una bella fetta di sanità italiana, ma allo stesso tempo proprietari di diversi quotidiani di area centrodestra, anche se in ottimi rapporti con il mondo politico di centrosinistra. Negli ultimi mesi si è parlato molto della famiglia Angelucci perché impegnata nell'ennesima acquisizione di una testata, questa volta l'agenzia di stampa Agi (al momento ferma), ma anche dell'ennesimo appalto per la cura domiciliare che la giunta regionale di Lazio del meloniano Francesco Rocca ha deciso di affidargli. Non solo. La famiglia si sta anche per comprare l'ospedale israelitico di Roma, simbolo del potere ebraico nella capitale. Insomma gli Angelucci non si fermano mai. Antonino, l’onorevole Tonino, 80 anni, e i suoi figli, Giampaolo, classe 1972, il più attivo, il probabile erede detto 'Napoleone', ed i gemelli Alessandro e Andrea (1970). Ci vorrebbe appunto un film, un giorno, per raccontare la loro epica.

Tonino capisce come ci si comporta ai tavoli del potere: servono amici a destra e a sinistra e i conflitti di interesse non sono un problema, ma un valore aggiunto
La prima immagine non potrebbe che essere ambientata in una barberìa nel cuore di Roma, vicino a via delle Botteghe oscure. Qui, anni fa, proprio Giampaolo Angelucci amava passare nel primo pomeriggio per farsi fare barba e capelli, quasi come Robert De Niro negli Intoccabili, circondato dagli uomini della scorta e da segretari. All’epoca lì in via delle Botteghe oscure, un tempo storica sede del Pci italiano, c’era anche la redazione del Riformista, il foglio arancione inventato da Claudio Velardi nel 2002, che ha raggiunto il suo massimo splendore alla fine degli anni zero quando a dirigerlo era Antonio Polito, attuale vicedirettore del Corriere della Sera. È proprio in quegli anni che l’onorevole Tonino capisce come ci si comporta ai tavoli del potere in Italia. Servono amici a destra e a sinistra. Bisogna oliare il sistema per controllarlo. I conflitti di interesse non sono un problema, anzi sono un valore aggiunto per far girare i quattrini.
"Investire è come guardare la vernice che si asciuga. Se volete eccitazione prendete 800 dollari e andate a Las Vegas"
Del resto, anche il primo Silvio Berlusconi degli anni ’80, padrone delle televisioni e amico del leader socialista Bettino Craxi, aveva amici a destra, ma anche a sinistra, in particolare tra i miglioristi del Pc, area dove comandava Giorgio Napolitano, che diventerà poi presidente della Repubblica. Tonino Angelucci è un uomo sveglio che parla poco. Porta sempre gli occhiali da sole quando sta in pubblico. Le inchieste della magistratura gli scivolano addosso. Se ne contano a decine negli anni, ma tutte finiscono sempre con l’assoluzione piena perché il fatto non sussiste. Sembra un abile giocatore di poker. La sua frase guida è di Paul Samuelson, economista statunitense, premio Nobel per l’economia. «Investire dovrebbe essere piuttosto come guardare la vernice che si asciuga o l’erba che cresce. Se volete invece eccitazione, prendete 800 dollari e andate a Las Vegas». Ne vedrà molta di erba crescere. Ma allo stesso tempo non disdegnerà qualche puntata rischiosa. All’inizio del nuovo millennio è il padrone di Libero, quotidiano fondato da Vittorio Feltri, il giornale di centrodestra nato nel 2000 che sta rubando copie al Giornale proprio della famiglia Berlusconi. Lo ha comprato nel 2001 quando Stefano Patacconi (l’ex editore e socio di Feltri) ha deciso di farla finita lanciandosi con la sua Mercedes nel mare di Rimini. Angelucci tramite il «diretùr» coltiva i buoni rapporti proprio con il Cavaliere, che è il leader di Forza Italia. Ha una grande affinità con Denis Verdini, ex macellaio fiorentino che ha introdotto Berlusconi in Toscana e che sta diventando sempre più potente grazie alla sua rete di relazioni. Siamo agli albori del nuovo secolo. Da poco i terroristi di Al Qaida hanno fatto cadere le torri gemelle. Il mondo sta cambiando. Internet non ha ancora cambiato l’umanità e da poco i cellulari iniziano a circolare tra le persone.
Le cliniche private, le Rsa e le holding in Lussemburgo
Tonino è un imprenditore impegnato soprattutto nella sanità privata. La sua holding finanziaria Tosinvest, nata alla fine degli anni '70 dopo una dura gavetta negli ospedali (anche da semplice portantino), sta insomma iniziando a macinare utili. Vanta un patrimonio di almeno 5000 posti letto tra cliniche e strutture sanitarie. Conta di fatto decine di Rsa col marchio San Raffaele, anche se i suoi dati c’è ben poca trasparenza, perché schermati dietro alcune holding lussemburghesi. La famiglia Angelucci è anche proprietaria di immobili, vanta quote di partecipazione nei giornali, e possiede un’azienda pubblicitaria. Ma il suo è un impero che spazia anche, grazie alla Facility Management di Tosinvest, nella fornitura di energia, nello smaltimento rifiuti, nella logistica come nella «comunicazione d’impresa» come nel marketing, ma anche nella vigilanza, «servizi di pulizia ed igienico-ambientali, gestione del verde, delle flotte autoveicoli aziendali e dei parcheggi, lava-nolo biancheria». Chi più ne ha più ne metta. Angelucci è ovunque.
È il giugno del 2006. Sui giornali in quei giorni non si parla d’altro che dell’arresto di Giampaolo
Nel 2005 però nel Lazio succede un fatto inaspettato: dopo gli anni dell’amico Francesco Storace in regione, un quinquennio dove gli Angelucci ricevono finanziamenti pubblici a pioggia per le proprie cliniche private, a vincere le elezioni regionali è Piero Marrazzo per il centrosinistra. Serve un giornale per coprirsi le spalle anche da quella parte, dal momento che l’aria sta cambiando dopo gli anni di strapotere berlusconiano: a Palazzo Chigi nel 2006 arriverà Romano Prodi. Nasce così l’idea di acquistare il Riformista, un Libero di centrosinistra con a capo un ex inviato di Repubblica come Polito che possa perorare la causa riformista, ovvero la strada delle riforme bipartisan «per il bene del paese». In realtà andrà bene soprattutto per Angelucci.
C’è un’altra splendida immagine che racconta bene il potere angelucciano. È il giugno del 2006. Sui giornali in quei giorni non si parla d’altro che dell’arresto di Giampaolo, il figlio prediletto, finito ai domiciliari per corruzione. È finito nell’ennesima inchiesta, questa volta portata avanti dalla procura di Bari dove lo si accusa di aver finanziato l’allora presidente di regione Raffaele Fitto con 500mila euro. In cambio gli Angelucci avrebbero ricevuto gli appalti per la gestione di undici case di assistenza per anziani. Nell’inchiesta è indagato per corruzione persino l’arcivescovo di Lecce, Cosmo Francesco Ruppi. Le intercettazioni che finiscono sui quotidiani sono scoppiettanti. E ci sono risvolti interessanti e poco conosciuti sulla rete di relazioni degli Angelucci con la politica italiana. Su L’Espresso compare il nome di Daniela Fini, moglie di Gianfranco il leader di An. «Io sono andata a sbattermi il c*lo con Storace», dice in una telefonata intercettata questa volta dalla procura di Potenza. L’intercettazione è dell'aprile 2005. Daniela Fini si sta in pratica "impegnando" per una convenzione della regione Lazio alla clinica di famiglia. Parla al telefono con un’altra persona, e si lamenta del loro socio di maggioranza, cioè Patrizia Pescatori cognata di Gianfranco Fini.
Pescatori, infatti, ha sposato Massimo Fini, un dottore che lavora dal 1986 per la Tosinvest proprio di Giampaolo Angelucci: il fratello dell’ex vicepresidente del Consiglio e poi presidente della Camera è il direttore sanitario dell'Istituto San Raffaele. Su Libero il 21 giugno Feltri difende Giampaolo, con cui ha sperimentato «la correttezza in quattro anni e mezzo di collaborazione». E l’opposizione cosa fa? Il centrosinistra tace. Anzi, festeggia. Il 22 giugno, infatti, il Riformista festeggia in grande stile la nuova proprietà, purtroppo senza editore, impegnato nei guai giudiziari. Ma al rinfresco tra olive ascolane e prosecco ci sono tutti. C’è Giovanna Melandri, all’epoca ministro della Cultura, c’è Alfonso Pecoraro Scanio, c’è Gianni Letta, il gran visir di prima e seconda Repubblica, ci sono i governatori Antonio Bassolino e Ottaviano del Turco, c’è persino Armando Cossutta del Partito dei comunisti italiani e anche un giovane Daniele Capezzone, all’epoca politico della Rosa nel Pugno (caso vuole che ora Capezzone sia direttore editoriale a Libero stipendiato proprio dagli Angelucci). Paolo Franchi, all’epoca direttore del foglio arancione, una vita da giornalista al Corriere della Sera come biografo dei comunisti, risponde così a chi gli chiede delle indagini sul suo editore. «Abbiamo fiducia nella magistratura». Del resto, Franchi altro non sarà che uno dei tanti giornalisti a libro paga della famiglia Angelucci.

Polito, Labate, De Angelis, Belpietro. Ovunque ci si gira c’è un giornalista che deve qualcosa ad Angelucci. E anche per questo che Tonino si permette di mandarli tutti affanculo. Tanto li paga tutti lui
A guardare il panorama giornalistico italiano non ce n’è uno che non sia stato almeno una volta stipendiato dai padroni di Tosinvest. A parte Libero, il Giornale e il Tempo, di proprietà angelucciana, al Corriere ci sono Polito e Tommaso Labate che hanno avuto lo stesso editore. Alessandro De Angelis, storica firma del Riformista, è ora editorialista della Stampa nonchè fidanzato del ministro Annamaria Bernini. Alla Verità c’è Maurizio Belpietro che però con gli Angelucci ha battagliato e vinto, dopo essere stato licenziato da Libero con un risarcimento milionario con cui poi fonderà il suo nuovo giornale attuale. Ovunque ci si gira c’è un giornalista che deve qualcosa ad Angelucci. E anche per questo che Tonino si permette di mandarli tutti affanc*lo, tanto li paga tutti lui. Se c’è un uomo simbolo del potere editoriale degli Angelucci è Daniele Cavaglià, piemontese ormai cinquantatreenne, storico amico di Giampaolo, che gestisce i rapporti tra il grande capo e i vari giornali. Cavaglià è da anni amministratore delegato di Tms società editoriale di Libero e il Tempo, ma ha amministrato anche il Corriere dell’Umbria dove ha portato come direttore un ex giornalista del Fatto Quotidiano, Davide Vecchi. Vecchi, cronista di inchiesta ha seguito tutte le vicissitudini di Verdini, poi è diventato molto amico dell’ex macellaio fiorentino. Così è Verdini, nel frattempo diventato il genero del leader della Lega Salvini fidanzato con la figlia Francesca, a consigliare all’amico Angelucci di assumerlo e farlo direttore. Cavaglià esegue. Ora si sussurra che il potere del giovane amministratore delegato piemontese sia stato in parte ridimensionato, anche perché nel 2017 è incappato in una storia di cronaca degna di un film, di quelli non rassicuranti.

Una domenica mattina Daniele Cavaglià rimane vittima di un’aggressione senza precedenti. Un uomo lo inizia a colpire con una mazza da baseball
Una domenica mattina, infatti, Cavaglià rimane vittima di un’aggressione senza precedenti. In via Cavour a Moncalieri viene bloccato da una Fiat Stilo mentre è alla guida della sua auto. Un uomo scende, lo tira fuori dal mezzo e lo inizia a colpire con una mazza da baseball. Se la caverà con 30 giorni di prognosi e un grosso spavento. Sulle motivazioni dell’aggressione non si saprà mai nulla. Di sicuro al momento Cavaglià sta lavorando insieme a Giampaolo e Tonino per il grande assalto al nord del Paese. Gli Angelucci, infatti, sono padroni di cliniche nel Lazio e nel sud Italia, ma al Nord fanno fatica. Il loro sogno sarebbe quello di conquistare il Gruppo San Donato della famiglia Rotelli, padrone di cliniche e ospedali all’avanguardia in Lombardia e Emilia-Romagna.
Nelle case della vecchia borghesia milanese personaggi come gli Angelucci non sono visti di buon occhio
Per arrivarci sta cercando in tutti i modi di entrare nei salotti milanesi. Ci prova da anni. Se potesse si comprerebbe il Corriere della Sera di Urbano Cairo. Ma in città e nelle case di quella che fu la vecchia borghesia milanese i Rotelli vantano ancora un certo potere. E personaggi come gli Angelucci non sono visti di buon occhio. Ha provato a conquistare anche La Verità di Belpietro, in modo da ampliare il suo potere nel capoluogo lombardo. Fino adesso non ci è riuscito, ma come diceva Samuelson, «Investire dovrebbe essere piuttosto come guardare la vernice che si asciuga o l’erba che cresce». Grazie a questo motto Tonino è dal 2008 in parlamento, prima con il Popolo della Libertà, poi con Forza Italia, quindi con la Lega di Salvini. A Montecitorio e a palazzo Madama ci avrà messo piede un paio di volte. Ci sono cose più importanti a cui pensare.