Pietà per l’aspirante “untersturmführer” Giovanni Fuochi, orgoglioso con la sua divisa da collezionista di memorabilia del Reich che si pretendeva “Millenario”. Sincera pietà, ma che dico, di più, pena. Chi non abbia mai avuto modo di visitare un’esposizione di “militaria” non potrà comprenderne pienamente il dramma intimo, ancor prima che politico. Nelle sue teche personali, fino all’altro giorno, si trovavano infatti uniformi, decorazioni, armi, forse anche buffetterie e ogni altro genere di occorrente già bellico, leccornie feticistiche per collezionisti mirati del nazismo. Magari anche, perché no, perfino un “panzerfaust”, il bazooka rudimentale dell’esercito teutonico. Chi ignori questo genere di passioni tristi probabilmente stenterà a mettere a fuoco con esattezza la notizia, il senso, appunto, d’ossessione guerresca nibelungica che sembra pervadere il nostro. E ancora meno l’umana tragedia che in questi esatti istanti si trovi a vivere l’ex colonnello dell’aeronautica Giovanni Fuochi, cui, appunto, è stata appena sequestrato dalla Digos l’intero armamentario collezionistico, cominciando dalla divisa delle SS con la quale si era fieramente mostrato sui social. Accompagnando il volto con un avviso di sfida alla controparte, il “nemico” dichiarato: “Sinistrorsi vi aspetto”. Tra i beni rifugio del diretto figurante nazista interessato, quasi una termocoperta identitaria da sovranista, non meno feticistici, occorre ancora annoverare un ordinario calendario consacrato, mese per mese, all’icona di Benito Mussolini e altri cimeli di culto proprio del ventennio fascista, ma soprattutto, sebbene regolarmente detenute, alcune armi con apposite munizioni. La perquisizione è stata disposta dalla procura della Repubblica di Piacenza in seguito, si è detto, al post su Facebook dove l’ex ufficiale, già al comando dell’aeroporto militare di San Damiano, indossava giacca grigia, fascia con svastica sul braccio, croce di ferro di seconda classe; ed eccolo in posa con un collaboratore replicante di Reinhard Heydrich, famigerato direttore dell'Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, detto il “boia di Praga”, infine giustiziato dagli eroici partigiani cecoslovacchi. O forse simile al colonnello Hans Landa di Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino. La sua interpretazione appare assai inferiore al talento attoriale di Christoph Waltz. Fuochi ha rivendicato con soddisfazione diportistica il contenuto pubblicato sul social: “Colleziono uniformi e volevo dire ‘sveglia’ un po’ come Vannacci”. Replicando in precedenza a chi lodava il suo vestiario aveva commentato con altrettanto soddisfazione: “Devi vedere l’intera uniforme: stivali e pistola Luger L8 compresa; se mi dessero un po’ di spazio vedresti come spariscono gli Lgbt e coglioni vari”, e ancora “sono fascista e ne sono orgoglioso, chi si professa democratico è di gran lunga più intollerante di me”. In un messaggio successivo ha aggiunto: “Ci vogliono tutti sudditi. Non sono un nostalgico e non ho nemmeno l’età per combattere certe cose. Mi duole però vedere l’Italia inginocchiata davanti a certe cose che a me non piacciono”. Dimenticavo: l’eroe Fuochi si era anche candidato con Fratelli d'Italia alle amministrative di Piacenza.
In un’altra foto che lo mostra invece in drop d’ufficiale della nostra aeronautica, Fuochi, va aggiunto quest’altro dettaglio espressionistico, riporta semmai alla memoria lo stentato generale Alceo Pariglia, lo stesso che nel film di Mario Monicelli, Vogliamo i colonnelli, ha il compito di rivolgersi alla “Nazione” a compimento del golpe cui, tra gli altri, svettano numerosi eversori neri, dal mazziere neofascista, detto “Er Nerchia”, al colonnello Ribaud, lì interpretato dal marchese Antonino Faà di Bruno, sagoma imponente, un metro e novantasei, voce baritonale, stentorea, lineamenti da rinoceronte aristocratico, nella realtà militare già tenente dei granatieri in Africa Orientale, decorato ad Asmara nel 1941. Ormai in pensione, il Faà si è concesso una strabiliante carriera da caratterista della commedia all’italiana, scritturato da Lizzani, Pasolini, Fellini. Il marchese Antonino, impossibile da dimenticare, va altrettanto ricordato con il paltò color cammello del Duca Conte Semenzara, tirannico giocatore di roulette nella saga di Fantozzi. Ancor prima d’auspicare il trionfale ritorno del Reich “Millenario” sotto le mentite spoglie d’azienda turistica con appositi sbandieratori in costume, i collezionisti di militaria, e il Fuochi non pare faccia eccezione nonostante l’apprezzamento per il collega Vannacci, va così assimilato ai frequentatori delle fiere specifiche, le stesse dove personalmente abbiamo avuto modo di incontrare Pino Rauti, dove il sogno di rimettere al mondo le Ss “Totenkopft”, testa di morto, e perfino le Brigate Nere di memoria repubblichina, assume toni da trovarobato. Si sappia però che nelle fiere cui accennavo c’è perfino modo di affiancare ogni genere d’altra truppa ai soldati della Wehrmacht: dai fanti piumati di Porta Pia ai chepì rossi dei garibaldini, dai lancieri di Aosta ai fanti della 101st Airborne Division, la Divisione aviotrasportata Usa, “Screaming Eagle”, le aquile urlanti. Ma sì, basterebbe essere stati almeno una volta alle rassegne di militaria per comprendere l’esistenza di certo escursionismo subculturale, affidato in primo luogo alla roba da casermaggio, magazzino vestiario, forse anche armeria, sebbene ogni fucile o rivoltella, fosse anche quella dei quadrunviri, una volta pronta per le esposizioni è d’obbligo sia resa ormai inoffensiva. Con i nostri occhi, inermi, pazienti in fila davanti agli elmi “Minerva” di dragoni e cavalieri di Novara o di Cuneo, curiosi, e tuttavia rapiti anche dalle vere nuziali di ferro dell’“Oro alla patria” o dalle necrologie dei morti tedeschi sul fronte orientale, per anni, ora all’Hotel Ergife di Roma, ora anche alla Fiera di Novegro, abbiamo visto altrettanto mansuete facce di assicuratori o uscieri o verdurai lì vestiti da mitraglieri della Luftwaffe, da ranger di Omaha o Juno Beach, o piuttosto da guardie pontificie di Pio IX, tutti insieme, a far merenda, in scoglionata attesa alla cassa del bar sotto neon che avrebbero demoralizzato perfino il più convinto circa le indubbie capacità belliche e coreografiche hitleriane; panino con frittata, in un cantuccio a pranzare, come neppure i poveri fanti nelle trincee del Carso o sull’Adamello.
Tra banchi colmi d’ogni genere di cimelio, i già evocati “panzerfaust” tedeschi, letteralmente pugno d’acciaio, autarchico bazooka utilizzato con determinazione artigianale durante la difesa di Berlino; fortuna per tutti noi, le artiglierie ad alzo zero sovietiche operavano assai meglio. Kermesse da proloco in grigioverde, carosello folkloristico intorno al bunker della Cancelleria di Hitler idealmente ricostruito. Esatto, basterebbe avere frequentato una mostra di militaria per comprendere che il “germe ancor fecondo”, cui accennava Brecht a proposito della svastica criminale, risiede in zona fiera come parodia di sé stesso. Con non meno orgoglio e zelo caporalesco c’è chi è lì a ricerca di sopravvissute camicie nere d’orbace, fosse anche quella di semplice capo-fabbricato, poco più che portinaio assai meno di moderno amministratore di condominio, e, con il sopraggiungere delle maggiori fatiche belliche, di un elmetto con il fregio dell'Unpa, l’Unione nazionale protezione antiaerea. Il caso Fuochi, dunque, sembrerebbe, sì, politico, tuttavia, a guardare meglio, va valutato sotto la lente del feticismo proprio del mondo dei collezionisti, gente stregata dai memorabilia. Pupille ancora pronte a brillare davanti a un fez di console generale della Milizia, ancora di più da “moschettiere del duce”, la guardia personale di Benito Mussolini piazzata nelle garitte di Palazzo Venezia, teschio e fioretti incrociati nel fregio d'argento. Chiunque, in fondo, vive nutrendosi di illusioni, più o meno proustiane, più o meno belliche, più o meno da cinto erniario da magazzino vettovaglie, più o meno oscene, tuttavia nessuno di noi saprà sovrastare chi dovesse aggirarsi tra gli spettri tarlati, reliquie in taglia unica del ventennio, come onanista mussoliniano nel paese meraviglioso di Alice nel paese delle meraviglie uncinate. A compendio dell’intera vicenda potrei perfino raccontare d’essermi imbattuto anni fa, proprio durante una fiera di militaria, in un soggetto che ha scelto di affrontare il quotidiano in alta uniforme da segretario del Partito nazionale fascista, comprensiva d’ogni apposito fregio, gradi, decorazioni, sciarpa littorio e segni delle ferite conquistate in tempi d’antemarcia; anzi, già che ci sono, ne accludo la memorabile testimonianza video. Quanto a Fuochi, dopo la visita della Digos, va forse immaginato in semplice vestaglia come Vannacci al mare?