L'occasione fa uomo ladro, soprattutto se lavori in Regione. Da Toti a Miccichè, passando per tutti gli altri enti territoriali d'Italia, è matematicamente appurato: in regione si ruba, senza badare all'appartenenza politica. Ma sarà sempre stato così? Visto che oggi al governo abbiamo Giorgia Meloni, che ha avuto la sua infanzia politica nel Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante, del quale ricorre proprio in questi giorni l'anniversario della morte, ci siamo chiesti quanto possa essere cambiata, la politica, dal Dopoguerra in avanti. Per rispondere, abbiamo provato a "intervistare" Giorgio Almirante, faro della destra sociale, prendendo spunto dai suoi discorsi tenuti in Parlamento. Perchè Almirante? Perchè leggendo i suoi interventi abbiamo notato che, nonostante la sua Fiamma Tricolore svetti ancora nel simbolo di Fratelli d'Italia., molte delle sue idee vanno in direzione contraria a quelle della sua erede politica, al punto da immaginare che al giorno d'oggi potrebbe idealmente trovarsi all'opposizione. Alcune cose che abbiamo trovato nei suoi interventi appaiono oggi come profezie, altre come ammonizioni. Certi discorsi degli anni Cinquanta e Settanta sembrano essere stati concepiti oggi. Sulla giustizia Almirante diceva che "un ladro va messo in galera. Se il ladro è uno dei nostri deve avere l'ergastolo", ed è facile notare come oggi si agisca in maniera contraria, anche in quello che sarebbe il suo partito: se il ladro è degli altri, deve avere l'ergastolo. Se è dei nostri, magari non si deve nemmeno dimettere; vedi i casi esemplari di Daniela Santanchè e Giovanni Toti. Poi i suoi interventi sulle regioni come "mangiatoie", sulla sovranità nazionale, sul federalismo, sul fascismo e l’antifascismo, e volendo anche sul green pass e l’obbligo vaccinale. Poi ancora, la geopolitica internazionale, le faide elettorali, la sinistra e la destra che si scambiano accuse reciproche di fascismo o di comunismo. Un’intervista impossibile, ma che vale la pena leggere, soprattutto in vista delle prossime elezioni Europee. Ne seguirà una con Enrico Berlinguer, in modo da avere un quadro completo dei tempi che cambiano (e come).
Giorgio Almirante iniziamo, ma le chiedo di non fare i suoi famosi discorsi-fiume, che i tempi sono cambiati. Soprattutto quelli di attenzione. Quando vennero istituite le regioni, lei fu uno strenuo oppositore.
In un mio intervento parlamentare del 1970, dissi questo: le regioni tanto più costeranno quanto più saranno politicizzate; tanto meno costeranno quanto più rappresenteranno degli organismi meramente amministrativi.
Cosa intendeva per regioni politicizzate?
Mi riferivo all'articolo 15 che si stava dibattendo. Per politicizzazione intendevo che quella prevista era sì un'autonomia al massimo livello, ma in senso politico. Con quello che io stesso chiamai un brutto neologismo, l'articolo 15 «sovranizzava» al massimo le regioni a statuto ordinario, sino a trasformare lo Stato in uno Stato federale.
Qui ci sono due temi molto cari alla destra contemporanea: sovranismo e federalismo.
Sempre nella stessa seduta ebbi a dire che, nel momento stesso in cui si attribuisce alle regioni una potestà legislativa praticamente indiscriminata, nessun ragionevole contenimento di spesa sarà pensabile, il che potrà andare benissimo per i sostenitori di un federalismo tra l’altro piuttosto spinto e incontrollato, e magari potrà andare ancora meglio per i sostenitori del caos e dell’anarchia che siedono all’estrema sinistra, ma non so quanto andrà bene per il cittadino. Noi ci siamo opposti con decisione al federalismo.
Giorgia Meloni, alla Conferenza delle Regioni, ha rivendicato con orgoglio l'istituzione degli Accordi di coesione tra il Governo nazionale e le Regioni. Il primo dei quali, peraltro, venne sottoscritto con la Liguria e il presidente Toti.
La previsione non era del tutto sbagliata, vedendo quello che è successo. Le regioni hanno un costo anche in termini straordinari. Che fossero una mangiatoia, fu chiaro fin da subito. Toti è solo l'ultimo maglio di un protervo inanellamento di furberie e ladrocinii: negli ultimi anni non c'è regione che abbia eccepito alla regola. Piemonte, Veneto, Abruzzo, Sicilia, Puglia. Non serve elencare, non è più l'epoca. Avete quello strumento che si chiama Google.
Non era lei a dire: "Un ladro va messo in galera. Se il ladro è uno dei nostri deve avere l'ergastolo"?
A quanto pare, sì, ma questo mio aforisma funziona solo come frase ad effetto, a quanto pare. Ho desolatamente notato che la tendenza è quella a fare quadrato intorno ai colleghi di partito. Il caso delle dimissioni mai avvenute di Daniela Santanchè può essere esemplare, ma non di certo l'unico. Giovanni Toti, di cui parlavamo poc'anzi. Silvio Berlusconi e i suoi mille processi. Un articolo del 2022 parlava, in riferimento al Parlamento appena insediato, di 40 tra deputati e senatori che avevano problemi pendenti con la giustizia. E molti erano dei nostri, o nostri alleati. Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera. Poi Roberto Calderoli, Claudio Lotito, Gianfranco Miccichè. Giulio Tremonti, Giangiacomo Calovini, Guerino Testa. Le accuse sono disparate: fallimenti, truffe, appartamenti comprati in maniera illecita, favori, mazzette. Questo non è quello che volevo per il mio partito, né per gli alleati politici.
Così ha continuato Meloni: penso che l'autonomia differenziata sia l'occasione per costruire un'Italia più unita, più coesa, più forte, un'Italia che sia capace di viaggiare a una sola velocità nella quale venga garantito a tutti i cittadini lo stesso livello di servizi.
Desolatamente, mi ricorda un intervento dell'onorevole Giancarlo Ferri che ebbi modo già di riprendere nel contesto del dibattimento sulle regioni. Ferri sosteneva che "la conservazione politica dominante, nei suoi ultimi sussulti, potrebbe cercare di impedire questo avvio costituzionale ad un decentramento dei poteri statali. Non avremmo le elezioni regionali e avremmo le elezioni politiche. Avrebbe la meglio allora un coacervo di interessi economici capitalistici, di conservazione di poteri, di vecchi e nuovi gruppi, di spinte repressive, di burocrazia asfissiante". Affermare che il centralismo renda la burocrazia asfissiante per volerne centuplicare le sedi, decentrandola. Non è questo come affermare che l'autonomia delle regioni renda l'Italia un ente più coeso?
Si sta dilungando un po' troppo nelle risposte, però. Avevamo detto niente discorsi-fiume.
Me ne dolgo, ma mi lasci concludere sulle regioni con quanto scriveva nel 1961 l’avvocato Ferdinando Carbone, al quale dopo questa sua relazione ai tempi della commissione Tupini fu affidato il compito di presiedere la seconda delle commissioni che, in ordine di tempo, si sono occupate dei problemi finanziari delle regioni: «La sottocommissione si è trovata concorde nel definire di carattere amministrativo le funzioni attribuite dalla Costituzione alle regioni, ad esclusione di attività proprie della sfera del governo politico, che nei loro aspetti degenerativi non potrebbero che aggiungere confusione e disordine, peggio, elementi di disgregazione nella vita dello Stato, con costi assolutamente proibitivi per un effettivo ed efficiente ordinamento regionale». Disgregazione, costi proibitivi, inefficienza. Profetico, no?
Cambiando discorso, Giorgia Meloni ha detto che "la destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti-ebraiche", di cui lei peraltro fu firmatario. È davvero così?
Io stesso ho dovuto, in più occasioni, ribaltare le accuse di fascismo che mi venivano mosse. Non del tutto infondatamente, certo, visto che io ebbi maniera di viverlo in prima persona, e politicamente, quel periodo storico. Certo è che le accuse andrebbero mosse in un terreno ben specifico, pena la loro depauperazione.
Ovvero?
Le faccio un esempio: una cinquantina d'anni fa ebbi a dire che quando qualcuno si attenta, nell’anno di grazia 1970, a dichiarare che lo Stato è il solo titolare degli interessi collettivi e che soltanto lo Stato può giustificare limitazioni di libertà nei confronti dei cittadini, gli saltano tutti addosso, ritenendo che queste siano nostalgie fasciste. No, sono nostalgie di stampo pre-costituente, antifasciste, nenniane addirittura, se pur sono nostalgie.
Questa frase avremmo potuto sentirla anche di recente, nel periodo pandemico degli obblighi vaccinali e del green pass. Quelli contrari parlarono di dittatura, di fascismo, e si levarono anche voci eminentemente intellettuali.
Io fui accusato di voler ricostituire il partito fascista, nel 1973. La mia difesa vertè su alcune dichiarazioni di personaggi dell'antifascismo. Il senatore Umberto Terracini, per esempio, padre costituente e dirigente del Partito Comunista, disse, nel 1952, che era consuetudine dei vecchi regimi reazionari del passato cercare di ridurre sul piano della criminalità i fenomeni politici a loro spiacenti e pericolosi. Non lo si rifaccia oggi, sia pure per combattere un pericolosissimo fenomeno politico. Non mettiamoci sul terreno che, allora prescelto, per sé solo poneva dalla parte del torto coloro che vi scendevano. Lo stesso Palmiro Togliatti, nel 1946, ammise che qualunque partito potrebbe essere ricondotto sotto la figura del partito fascista attraverso disquisizioni dialettiche, così il partito democristiano come quello liberale, e tutti gli altri.
Oggi il gioco è questo: sinistra e destra si accusano reciprocamente di fascismo, o di comunismo, mentre la sinistra richiede alla destra di dichiararsi antifascista. C'è un vero significato in tutto ciò?
Io feci già notare nel 1970 che quella tra antifascismo e fascismo era una polemica destinata più all'antipolitica che a un reale pericolo. Dissi: dovreste sbrigarvi a dare un contenuto serio a codesto vostro antifascismo, se volete che le giovani generazioni non siano indotte soltanto, come forse volete, ad una protesta di tipo cinese o ad un abbandono di tipo nichilistico o ad astrarsi completamente dalla vita politica italiana o ad allontanarsi del tutto dalla società politica italiana. E non è un sofisma, ma la verità: a concentrarsi soltanto sulla negazione della controparte, si finisce per diventare come lei. O a lasciar perdere. Quanti ormai vanno a votare, ai giorni vostri? Quanti credono alla politica?
Parliamo delle polemiche su TeleMeloni. Lei si oppose fortemente alla lottizzazione Rai.
Certo, era il 1975 quando feci notare in Parlamento che la storia degli accordi tra lo Stato e le radiocomunicazioni iniziò con la proroga di una norma fascista dal 1952 al 1972, secondo la convenzione, e dal 1972 al 1974-75, secondo ulteriori provvedimenti.
E come è continuata?
È continuata nel solito modo, cioè inserendo nella persistente logica di norme di un regime totalitario i comodi di un regime democratico. Ecco, il regime totalitario ha mantenuto, anche a questo riguardo, le sue strutture iniziali; per 22 anni una convenzione fascista è rimasta in piedi e ha regolato i rapporti delicatissimi fra lo Stato ed i mezzi di informazione radiotelevisivi. Però, in questo giaciglio, non si sono accomodati, evidentemente, i gerarchi del vecchio regime, bensì i gerarchi, i manutengoli, i clienti, i prosseneti del nuovo regime. Questa è la realtà! La lottizzazione è questa: la torta è rimasta lì, l’avete tenuta in frigorifero, e ogni tanto ne viene tirata fuori una fettina per aggiudicarla a questo o a quel cliente. Oggi è in mano del governo, come sempre fu.
L'ultima domanda sulle guerre in corso. Nato o no?
La ratifica del Patto Atlantico, da parte dell'Italia, fu come firmare un assegno in bianco. Nel 1949 chiesi la sospensione della discussione, in quanto il Patto non era nemmeno stato ratificato dagli Stati Uniti, che erano i creatori dello stesso. Un'assurdità, tanto che i nostri voti furono altrettanto assurdamente identici a quelli dei comunisti. Poi nel 1950 osservai un problema riguardante la sovranità del nostro Paese in un contesto sovranazionale. Nella mozione Nenni era già critto che l’esercito unico atlantico menomava la nostra sovranità nazionale. La nostra tesi fu che la menomazione, già in atto, della nostra sovranità nazionale non ci consentiva, sul piano politico e sul piano militare, una adeguata difesa dei diritti e della indipendenza del nostro paese. Oggi la situazione è ben più complicata, a livello europeo e internazionale, certo, e se quello che era il mio partito nel frattempo ha sposato l'atlantismo, rivendicando la sovranità, è perché la politica dev'essere adatta al tempo. L'ho sempre sostenuto, soprattutto di fronte agli avversari che in politica mi ricordavano il passato.