A passare dal Basement di Gianluca Gazzoli è toccato a Milena Gabanelli, ex volto di Report e sinonimo di giornalismo autorevole. “Ho virato su un informazione semplificata, non banalizzata che passa in un tempo molto breve”: sintetizza così il suo format Data Room in cui, oltre a numeri, percentuali e dati fornisce una sintesi di un tema. Una mini-inchiesta che ogni lunedì segue il Tg La7 di Enrico Mentana: “È una novità per un Tg avere 3 minuti di attualità, di esteri. Questi porta dentro anche il pubblico televisivo”. Gazzoli sottolinea i buoni risultati di ascolti e interazioni raggiunti dal programma: “In realtà siamo andati bene da subito”, ironizza Gabanelli. Quello che interessava la giornalista, per sua stessa ammissione, era di entrare sui social, portare la sua figura auterevole in uno spazio così caotico e ambiguo mantenendo la sua credibilità. “Credibilità”: una parola usata e abusata, che in un mondo difficile come quello dei social può facilmente perdersi: “Le persone commentano perché hanno un interesse. Dobbiamo portare avanti questo rapporto con l’informazione. Commenti, non sei d’accordo, motiva”. Un flusso logico che, quantomeno, può indirizzare l’opinionismo social in maniera virtuosa. La ricostruzione di un caso, di un’inchiesta parte dal porsi domande, dubbi, critiche: i social sono una piattaforma perfetta per questo. Tutti dubitano, tutti criticano. Non tutti gli interventi (anzi, forse pochi), però, hanno un senso. “Sui social questo elemento deflagra: non ha nessuna funzione costruttiva”, sottolinea Gabanelli. In un mondo in cui tutti gridano alla gratutità dell’informazione come sinonimo di democrazia risponde: “Io non conosco nessuno che lavora gratis. Solo i grandi editori possono permettersi una cosa del genere”. Non esiste, per il pubblico di oggi, pagare per avere accesso all’informazione: “In tanti mi mandano a quel paese perché trovano il paywall. Per due, tre euro al mese”. Nessuno è disponibile a pagare, quindi. Ma questo, in verità, è una stortura, perché poi “ti prendi il prodotto che è…”. Come mai, in una tendenza generale al rifiuto del pagamento, gli abbonamenti italiani sono i più bassi? “C’è un fatto: la Francia vende in tutto il mondo francofono, il Guardian è letto ovunque si parli inglese. Noi siamo sacrificati dalla lingua. Considerato questo, l’Italia non va neanche malaccio”. Sono pochi, prosegue ancora Gabanelli, i giornali nel mondo che prendono di più dagli abbonamenti che dalla pubblicità: solo loro possono resistere al “ricatto” del pubblico.
Poi gli anni alla Rai e a Report, il periodo in cui Gabanelli si è costruita la sua figura, la sua autorevolezza e credibilità: “Per 10 anni abbiamo lavorato senza copertura legale. Eravamo dei kamikaze”. La chiarezza della sua voce, quindi, se l’è guadagnata sulla propria pelle, accompagnata, ammette, da un gruppo di professionisti che erano pronti a mettersi in gioco. Servono due caratteristiche per fare quel genere di giornalismo, secondo Gabanelli. La prima consiste nel “lavorare sempre”, resistere a rimandare al giorno dopo l’impegno a prendersi delle pause. La seconda è la larghezza di spalle che hanno permesso sia a lei che a Sigfrido Ranucci di reggere le trecento cause che nella sua storia Report ha dovuto fronteggiare. “Dopo vent’anni era giusto che io lasciassi. Anche le madri devono lasciare il figlio”: un leader sa quando è il momento di farsi da parte. Ci vogliono nuove idee, nuovi approcci per far sì che un progetto possa evolvere ulteriormente. Report, spiega ancora Gabanelli, è un programma a basso costo e alta rendita. Anche perché le condanne, in tutti questi anni, non sono state molte. Anzi, solo una, per cui la Rai dovette pagare 30 mila euro. Una su trecento, una buona media. “Certe cause non stanno in piedi”. Si sa, le querele temerarie proliferano e anche se esiste una legge che sanziona l’autore della querela, questa viene quasi mai: “Quando la lite è temeraria verso un giornalista significa impedire la libertà di informazione”, senza giri di parole.
“Quanto è stato importante che Report fosse in Rai?”, chiede Gazzoli. “In una tv privata non avremmo avuto la stessa libertà”, ammette Gabanelli. Nel momento in cui un privato deve andare contro qualcuno, di certo si deve tutelare maggiormente. Ma anche la Rai doveva in qualche modo blindarsi rispetto alle accuse che piovevano. Anche in questo caso era lei stessa, insieme al suo team, a fare da garante: “Le cause le vincevamo. Io non ho mai nascosto niente a nessuno”. Il suo lavoro e quello di tutti coloro che agivano dietro le quinte faceva da difesa preventiva alla società stessa che li finanziava. Se non è autorevolezza questa... Anche al Basement Milena Gabanelli si è mostrata per quello che è: una giornalista attenta ai dati di fatto, che spiega i fenomeni senza retorica, credibile e attenta agli sviluppi di oggi, alla contemporaneità. “I giovani non si devono vergognare di fare altri lavori se questo serve a seguire la propria inclinazione”, conclude. Anche per trovarla, l’inclinazione, ci vuole tempo. Contro la retorica del tutto e subito, prosegue, “io la mia l’ho trovata tardissimo”. Tempo, lavoro e sì, l’ostinazione nel seguire il proprio orizzonte. Senza paura di fare altro, nel frattempo. Di non intimidirsi rispetto ai fallimenti e alla scoperta che quel mondo che credevamo fosse nostro invece non lo era. Consigli fondamentali di una delle voci più preziose del giornalismo italiano.