“Mori, De Donno e Subranni hanno riconquistato la parola. Credevano di averli messi a tacere con i processi e le trasmissioni su La7. Fortunatamente così non è stato”: così Fabrizio Cicchitto (con Forza Italia figura storica nella politica italiana, e attualmente presidente di ReL Riformismo e Libertà) intervenendo su Libero in occasione della pubblicazione di “La verità sul dossier mafia-appalti” (Piemme), libro firmato dal generale Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno, protagonisti della lotta contro Cosa Nostra poi finiti nel processo per la presunta trattativa tra Stato e criminalità organizzata (e assolti in Cassazione). E, quando parla di trasmissioni su La7, il riferimento non può che essere a colui che si è occupato del tema in una maniera evidentemente non molto gradita a Cicchitto, ossia Massimo Giletti all’epoca di “Non è l’Arena”. E sempre a “Non è l’Arena” fu (chiacchierato) protagonista il non-pentito Salvatore Baiardo (in passato vicino ai fratelli Graviano), le cui tesi, almeno per quel che riguarda Mani Pulite, non sembrano così distanti da quelle espresse dal politico ex socialista.
Per Cicchitto è ora di fare “una rilettura di due anni decisivi della storia italiana, il biennio ’92-’94. Una rilettura che riguarda tutta l’impostazione di Mani Pulite che causò una terribile forzatura giudiziaria e mediatica con sconvolgenti ed eversive conseguenze politiche. Il sistema di Tangentopoli, infatti, coinvolgeva tutto e tutti, tutti i partiti senza eccezione e tutti i grandi gruppi industriali, finanziari, editoriali privati e pubblici; ma Mani Pulite ha colpito Craxi, tutto il Psi, i partiti laici, il centrodestra Dc e ha salvato il Pds e la sinistra Dc”. Cicchitto sottolinea poi come il libro di Mori e De Donno possa riaprire il dibattito sulla “grande differenza fra quello che è avvenuto al centro nord e ciò che si è verificato in Sicilia. Al Nord Mani Pulite è penetrata come un coltello nel burro degli imprenditori, dei partiti, degli amministratori nazionali e locali. Così il pool dei pm ha potuto fare tutto ciò che ha voluto, utilizzando gli arresti per ottenere confessioni, dando una impostazione di parte al risvolto politico delle vicende processuali e mediatiche. Poi Mani Pulite è scesa a Roma e nel Sud, ma non ha mai passato lo Stretto di Messina. Il libro di Mori e De Donno mette in evidenza che in Sicilia Mani Pulite non è mai arrivata, neanche col dossier mafia appalti costruito dal Ros. La possibilità di una estensione di Mani Pulite in Sicilia era molto pericolosa sia per la mafia, sia per l’establishment industriale, finanziario e per le cooperative rosse. […]. Per bloccare tutto ciò, si è ricorso a ben due “depistaggi atipici”: il primo, quello più devastante, costituito dalle stragi di tipo libanese che hanno colpito Falcone e Borsellino con una metodologia del tutto diversa da quella solitamente seguita dalla mafia”. Per Cicchitto così facendo “la mafia ha inviato due messaggi: il primo consisteva nell’ultimatum a bloccare i grandi processi e la realizzazione di procedure come il 41bis. Il secondo sottolineava che Mani Pulite non poteva passare lo Stretto anche sotto forma del procedimento mafia appalti apprestato con il dossier costituito dal Ros e su cui Borsellino aveva manifestato grande interesse”.
Per il presidente di Riformismo e Libertà c’è stato poi un altro “depistaggio atipico”, ossia “quello di mettere fuori gioco per circa 15 anni proprio coloro che avevano preparato il dossier mafia appalti, con il pretesto della inesistente trattativa Stato mafia, mettendo così a tacere quei rompiscatole dei carabinieri con processi interminabili e conseguenti richieste di condanne durissime, evitando che essi potessero testimoniare su tutto l’andamento reale della vicenda”: in questo Cicchitto attacca l'allora procuratore capo Pietro Giammanco, sottolineando che “invece di insistere su un filone investigativo per il quale aveva affidato le indagini proprio a Borsellino alle 7.30 del giorno del suo assassinio, tre giorni dopo chiese l’archiviazione, accettata dal Gip il 14 agosto, fra la disattenzione generale”.
Per Cicchitto, “Giammanco ha messo in atto quella archiviazione a favore di due entità di straordinaria potenza: la mafia e alcuni pezzi forti dell’establishment finanziario, imprenditoriale, editoriale e dei vertici delle cooperative rosse. In un quadro di quel tipo il successivo depistaggio del processo Borsellino per la strage di Via d’Amelio, è stato una sorta di conseguenza naturale: non ci si poteva inoltrare in indagini reali su una materia così scivolosa e compromettente”.