Non solo Lavinia Orefici. Non più. Adesso spunta un intero archivio di scatti d’ira, parole al veleno e reazioni scomposte che ridisegna il profilo pubblico di Romano Prodi in modo decisamente diverso da quello del “professore mite”. A dieci giorni dal gesto contro l’inviata di Quarta Repubblica (una ciocca di capelli afferrata con stizza dopo una domanda ritenuta scomoda sul Manifesto di Ventotene, poi negata, poi derubricata a “scivolone”, infine seguita da giustificazioni opinabili) la vicenda si allarga. E si capisce che non è un incidente isolato. E non è nemmeno una questione chiusa. Nel corso della trasmissione Lo Stato delle cose, su Rai3, sono state trasmesse immagini esclusive di altri due episodi.
Il primo, risalente a qualche tempo fa, è stato ripreso in un bar, in presenza della moglie Flavia Franzoni (oggi scomparsa). Il barista aveva fatto una battuta innocua, un commento sulla “deriva della politica”. Ma Prodi ha reagito al grido di “stronzo”, in pubblico. Il tutto documentato da due telecamere, quella interna e quella esterna. Poi il secondo episodio datato 2014: Antonino Monteleone, noto giornalista ed ex volto de Le Iene, gli rivolge una domanda. Prodi gli tira le guance. Eppure, anche qui è doveroso ricordare che Prodi non è il nonno di nessuno, non è il nonno dell'Italia, non è il nonno dei nostri giornalisti e che forse quelle mani dovrebbe imparare a tenerle in tasca.

Come se non bastasse, il buon modo di fare di Prodi ha visto protagonista anche Rebecca Pecori, giornalista del programma, che nel servizio mostrato da Giletti ha tentato in ogni modo di inseguire Prodi prima della presentazione del suo libro, nella speranza di ottenere una dichiarazione. Nella speranza di fargli dire la tanto agognata parola scusa nei confronti della collega. La risposta? Silenzio. Poi nuovo scontro fisico sfiorato, evitato solo grazie all’intervento di un membro dell’entourage del volto dell’Ulivo. Ma come mai oggi parliamo ancora di questo? Come mai continuano a emergere nuovi video ed elementi? La verità è che il caso Prodi, e il silenzio che lo ha avvolto da parte dei suoi, è solo la punta dell’iceberg di una frattura interna al Partito Democratico che si allarga di giorno in giorno.
La cosa più clamorosa non è il gesto. È la reazione del partito. Anzi: la non-reazione. Elly Schlein non ha detto una parola. Nessuna condanna, nessuna presa di distanza netta, nessun gesto di solidarietà verso Lavinia Orefici. Perché? Perché, secondo una voce sempre più insistente che gira attorno al Nazareno, il video completo in cui si vede il gesto di Prodi verso la Orefice sarebbe stato fornito a La7 (notoriamente non un’emittente di destra) proprio da qualcuno della fronda vicina alla Schlein. Un colpo basso per mettere in imbarazzo una figura simbolica del passato, tuttora vicina all’area riformista del partito, quella che contesta la segretaria ogni volta che può.

Diciamolo chiaramente: Romano Prodi è il primo avversario scomodo per la Schlein. Ancor più dei vari partiti che oggi compongono la maggioranza. Perché quella di Prodi è una fronda interna che altro non fa se non alimentare quelle frizioni interne all'area dem sui temi più disparati. Dalla politica interna a quella estera non c'è una linea comune. O meglio, si cerca di calarla dall'alto, ma da quello che ci risulta qualcuno si sarebbe un po’ stufato di essere ridotto a mero esecutore di volontà che fanno capo a tre o quattro persone al massimo. Quindi quello di cui siamo stati spettatori sembra più un regolamento di conti fatto a colpi di clip virali. In una sinistra che si comporta sempre più come una setta in scissione silenziosa. E intanto, il caos aumenta. Da un lato c’è la Schlein, che vorrebbe tenere assieme i pezzi: il rapporto con Conte e il Movimento 5 Stelle (che però non tollerano Renzi con cui lei invece ora va a braccetto), la piazza “contro la guerra” a cui non sa se partecipare, una posizione ambigua sul riarmo europeo, un linguaggio radicale che però si scontra con le pratiche moderate. Dall’altro lato, c’è chi ha deciso che la linea di Elly non è più la propria. E lo dice con i fatti, più che con le parole.

A Bruxelles, infatti, Pina Picierno ha votato a favore del piano di riarmo europeo, in aperto dissenso con la linea della segretaria. E non è stata la sola. Una fetta significativa della delegazione dem ha sabotato la posizione ufficiale. In mezzo a tutto questo c’è Carlo Calenda che strizza l’occhio a Giorgia Meloni, la elogia per la sua coerenza in politica estera, per la sua solidità istituzionale, mentre Schlein (incastrata tra la voglia di rottura e l’impossibilità di agire) non riesce nemmeno a decidere se andare in piazza coi 5 Stelle. E non lo riesce a decidere perché nemmeno lei sa ancora quale sia la volontà del suo partito. Perché sa che sul Medio Oriente, sull’Ucraina, sulle armi, la sua base è spaccata in due. E qualunque scelta, oggi, rischia di provocare uno strappo.

Intanto, Prodi si prende i riflettori per i motivi sbagliati in quello che viene considerato un fuori programma che però è un copione. Il copione di un partito che non ha ancora capito chi è, dove vuole andare, con chi vuole stare. Che tiene insieme il pacifismo di Fratoianni e i voti per il riarmo, il “campo largo” con Conte e le manovre con Calenda, le mani nei capelli di Prodi e i silenzi imbarazzati di una segreteria sotto assedio. Il punto è questo: prima di andare a “combattere” con il nemico devono risolvere le fronde interne, che sono tante e altrettanto scomode.
Per cui oggi il Pd è in quella fase di stallo pronto per esplodere, ma prima fa quello che gli riesce meglio: sopravvivere in equilibrio sul nulla.