Carl Rhodes è professore di Teorie dell’organizzazione e preside della Uts Business School presso la University of Technology di Sydney, in Australia, dove studia le dimensioni etiche e democratiche dell’impresa e del lavoro. Il suo Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia edito da Fazi editore (314 pagine, 20 euro, Collana Le Terre), con prefazione di Carlo Galli e traduzione di Michele Zurlo, è sicuramente uno dei libri più significativi pubblicati del 2023. Come spiega l’autore: “è tempo di abbandonare l’idea che le imprese, in quanto attori principalmente economici, possano in qualche modo aprire la strada politica per un mondo più giusto, equo e sostenibile. Il capitalismo woke è una strategia per mantenere lo status quo economico e politico e per sedare ogni critica. Questo libro è un invito a opporgli resistenza e a non farsi ingannare”. Lo abbiamo raggiunto per fargli qualche domanda sul suo lavoro.
Professor Rhodes, innanzitutto cos'è il “woke”? È una vera ideologia o cos’altro?
Il termine “woke” è stato usato per la prima volta nelle comunità afroamericane per indicare la posizione politica positiva di essere “svegli” (consapevoli) di fronte ai pregiudizi e alle ingiustizie razziali e di usare questa consapevolezza per cambiare le cose. In questo senso l'idea di essere “woke” è diventata una metafora del cambiamento sociale e il termine è diventato mainstream all’alba del movimento Black Lives Matter nel 2013, quando i membri di quel movimento hanno usato l'hashtag #staywoke come parte del loro attivismo sui social media. Sfortunatamente, il termine è stato presto dirottato e reso più banale dalla società mainstream. Nel 2016 il termine “woke” è stato usato per criticare le persone, soprattutto i bianchi, che si vantavano di avere posizioni moraliste su questioni politiche come la discriminazione razziale, i diritti Lgbtqia+ e il sessismo. Non ci è voluto molto perché “woke” diventasse un aggettivo dispregiativo usato dagli opinionisti reazionari di destra per criticare le persone le cui opinioni politiche non si allineavano con le loro. Inoltre, il “woke” non è un'ideologia, nel senso che non è un insieme ben ponderato di idee e posizioni politiche.
Michelle Goldberg ha scritto in un articolo d'opinione sul New York Times: “l'ossessione della destra per il woke è un segno di debolezza”. Tu però critichi il "wokeismo" non da una prospettiva conservatrice. Quindi non è vero che tutti coloro che criticano il “woke” sono conservatori e reazionari?
Non è vero. Io, ad esempio, ho ampiamente criticato l'appropriazione da parte delle aziende delle cause “woke” da una prospettiva di sinistra. Sostengo che l'apparente allineamento delle aziende con le politiche progressiste stia mettendo da parte l'attenzione e l'azione politica per affrontare una disuguaglianza economica sempre più ampia. Dopotutto, le aziende cosiddette “woke” di sinistra possono affermare di sostenere cause sociali e ambientali, ma non stanno facendo campagne su questioni più importanti relative alla giustizia economica, ai diritti sindacali dei lavoratori, alla tassazione progressiva e così via. Oltre a questo, la crescente influenza politica delle aziende, legata al “capitalismo woke”, vede uno spostamento del potere politico dalla sfera pubblica democratica alla sfera privata economica. Questo sposta di fatto l'intero sistema politico dalla democrazia alla plutocrazia. Mi auguro che, indipendentemente dal fatto che le persone siano conservatrici o liberali, di destra o di sinistra, sentano la necessità di preservare i sistemi democratici che consentono queste differenze politiche e che questa sia la questione più importante quando si parla di ingerenze delle imprese private nella politica.
Perché le grandi aziende capitaliste, come le Big Tech, hanno deciso di aderire e promuovere l'ideologia “woke” e le cause “politicamente corrette”?
L'idea di “woke capitalism” può essere fatta risalire alle origini dell'idea di responsabilità sociale delle imprese negli Stati Uniti degli anni Cinquanta. Il termine woke capitalism è stato introdotto per la prima volta nel 2018 dall'editorialista del New York Times, Ross Douthat, che ha notato come le aziende si stessero impegnando nella giustizia sociale. All'epoca suggerì che le aziende si stavano allineando a cause politicamente attive per acquisire legittimità politica in un momento in cui stavano incassando i tagli fiscali di Donald Trump. Più in generale, negli ultimi cinque anni circa, le aziende si sono incolonnate a una serie di cause politiche progressiste. In genere, però, si tratta di un'azione relativamente priva di rischi e le aziende salgono su un carro che ritengono possa creare una buona impressione agli occhi dei clienti e dei dipendenti. I risultati commerciali positivi in termini di ricavi, profitti e crescita sono in cima ai pensieri del capitalista “woke”
Hai scritto nel libro che il capitalismo “woke” rappresenta una minaccia per la democrazia. Perché?
Una volta superati i titoli “clickbait”, sia a destra che a sinistra della politica si potrebbe essere d'accordo sul fatto che il capitalismo “woke” rappresenta un pericolo reale e attuale. Non si tratta di essere o meno degli sbandierati sostenitori del libero mercato. Si tratta di capire se si crede veramente nel sistema democratico che ci permette di sviluppare e dare voce a posizioni politiche diverse. Il vero pericolo è che il capitalismo “woke” rompe la fondamentale distinzione democratica tra la sfera privata e quella pubblica. Un tempo, la democrazia poteva richiedere la separazione tra Stato e Chiesa per consentire la libertà religiosa. Oggi la conservazione della democrazia passa attraverso la separazione tra Stato e società per consentire la libertà politica, altrimenti ci ritiriamo nelle forme di feudalesimo e plutocrazia.
Le grandi aziende, come hai spiegato nel libro, hanno sempre più potere anche nell’ambito della sfera politica. E questo rappresenta una minaccia. Cosa possiamo fare per cambiare la situazione, quale sarebbe la soluzione?
Con il capitalismo “woke” dobbiamo ricordare che nessuna convinzione morale di buon senso permetterà a un'azienda di impegnarsi in una politica che danneggerà le proprie fortune finanziarie o quelle dei suoi proprietari e manager. Se vogliamo un vero cambiamento progressista per la giustizia economica e la prosperità condivisa, è ora di diventare “svegli” (consapevoli, ndr) rispetto al “capitalismo woke”.