Palazzi in rovina, castelli abbandonati, ville dimenticate, ruderi nei quali è rintracciabile una traccia di vita remota. Il fascino dell'oblio, la bellezza trascurata. Questo è l'urban exploration, per brevità chiamata urbex. Se lo utilizzate come hashtag su Instagram, avrete subito chiaro di che cosa si tratta: milioni e milioni di fotografie, spesso enfatizzate in HDR spinto, scattate in posti abbandonati, malinconicamente superbi, a metà tra la location di un film horror e il magazzino di un rigattiere. L'urbex è un genere fotografico con regole precise. In primis il rispetto per il luogo fotografato, sul quale vige il riserbo più assoluto. Riserbo, e rispetto. È assolutamente vietato spostare gli oggetti che ci sono al suo interno, e ancora più illegale poetarii via. Prendi solo foto, lascia solo impronte, dice una massima di questo movimento artistico. Il codice etico prevede anche che debbano essere visitate soltanto le strutture già trovate con porte o finestre aperte, questo per non commettere infrazioni dal punto di vista legale.
Poi c'è la questione del rischio. Tutti noi, da ragazzini, abbiamo avuto l'amico o l'amica che ci invitava ad esplorare l'immancabile palazzo abbandonato, tra storie di fantasmi o di chissà quale altro tipo di mostri che c'erano all'interno, e le compagnie puntualmente si dividevano tra quelli che ci entravano davvero, e quelli che si tiravano indietro. Chi fa fotografia urbex è cresciuto, ma rimane della prima tipologia di persone. Ma rimane il fatto che entrare in un edificio dismesso, se non pericolante, è a tutti gli effetti un'attività rischiosa per la propria pelle, ed è anche per questo che non vengono divulgate le coordinate dei palazzi fotografati. Sicuramente, un continuo andirivieni di fotografi, o anche di curiosi, avrebbe un impatto maggiore sugli edifici che già sono in uno stato di decadenza. Inoltre, la troppa pubblicità potrebbe attrarre anche dei malintenzionati, cosa che non è affatto da escludere. Ed è ancora per questo motivo, che è sempr meglio non andarci da soli, a fare urbex. Le palle, metaforiche, ci vogliono, ed è sempre meglio averne quattro, anziché due.
Non che sia propriamente una nicchia, l'urbex. Cercando l'hashtag su Instagram, l'algoritmo segnala qualcosa come 12 milioni di post. L'hashtag #ferragni, per dire, ne ha 94mila. Eppure il popolo degli esploratori urbani è arrivato soltanto adesso all'interesse generale, perché negli ultimi giorni se ne è parlato a proposito del caso della ragazza uccisa ad Aosta, nei dintorni di La Salle, verso Courmayeur. Addirittura mamma Rai se n'è accorta, mandando in onda un servizio, all'interno di "Chi l'ha visto", sulla fotografia urbex. Auriane Nathalie Laisne sarebbe arrivata in Valle d'Aosta proprio per fare Urbex, insieme con il suo assassino, Sohaib Teima, per poi finire uccisa proprio dentro una cappella abbandonata. Lui è già stato arrestato in Francia, e ci si augura che presto venga fatta luce sulla vicenda, ma se ora stanno tirando fuori anche l'ipotesi di una challenge di Tik Tok, in questi giorni abbiamo già visto spuntare titoli come "la trappola dell'urbex", e sia la vittima che il carnefice sono stati rappresentati come "due vampiri", stimolando nell' opinione pubblica un immaginario torbido e oscuro. Il problema è che, facendo così, da un lato non si fa altro che colpevolizzare un passatempo artistico, che ha l'obiettivo nobile di ri-vitalizzare gli edifici in decomposizione: tutt'altro che mortifero, anzi, il contrario, mentre dall'altro si suggerisce, sotto le righe, che lei se la sia un po' andata a cercare.