Nel giallo che da anni inchioda Trieste a una domanda senza risposta – quando e dove è morta davvero Liliana Resinovich? – c’è ora una voce fuori dal coro. È quella di Noemi Procopio, scienziata forense, italiana all’estero, oggi docente all’università del Lancashire, in Gran Bretagna. Entra nel caso Resinovich come consulente di Sebastiano Visintin, marito di Liliana e attualmente indagato per omicidio. Ma non è lì per difendere qualcuno, dice. È lì per analizzare. Il suo strumento? Il microbioma, cioè i batteri che popolano il corpo dopo la morte e che possono dire quanto tempo è passato dal decesso. Il risultato delle sue analisi – raccontato in un’intervista esclusiva a Quotidiano Nazionale – è uno scossone alla versione ufficiale dei fatti. “Ho lavorato su quello che c’era, non il massimo devo dire, campioni prelevati il giorno dell’autopsia per estrarre il Dna e identificare in modo certo il cadavere, conservati fortunatamente in modo ottimale. Ho solo analizzato i dati, non ho mai messo mano sui campioni, quindi questo lavoro non è di parte, ci tengo a precisarlo, è stato affidato a un laboratorio esterno”.

“Sono arrivata a due conclusioni possibili, attraverso lo studio del microbioma: la morte potrebbe risalire al 14 dicembre se il corpo fosse stato congelato; in caso contrario, a 12 ore prima del ritrovamento. La premessa d’obbligo però è che la scienza non può dare certezze assolute ma ipotesi”. Per la consulenza Cattaneo, invece, Liliana è morta proprio il 14 dicembre 2021, il giorno della scomparsa, e il corpo sarebbe rimasto nel boschetto per 22 giorni, fino al 5 gennaio 2022. Ma Procopio ha dei dubbi. Grossi. “Tutti i modelli, sia animali che umani, in condizioni diverse di clima, puntano nella stessa direzione. Sulla base del microbioma trovato sul cadavere, è altamente inverosimile che Liliana Resinovich sia rimasta per 22 giorni nel boschetto”. E se non è rimasta lì, dove? E soprattutto: perché quel corpo era ancora così ben conservato? “Potrei calcolarla con esattezza se avessi la certezza che il corpo non è stato spostato – riflette Procopio –. Ma c’è un altro piccolo tassello da aggiungere. Tra i batteri trovati, ce ne sono diversi che avevo scoperto in cadaveri congelati e poi scongelati. Chiaro, questa è un’osservazione, non una prova. Ma non sono fantasie, sono dati scientifici. Non è una certezza ma non lo escludo”. La sua analisi, spiega, è stata fatta su campioni già raccolti e conservati bene. I dati sono stati letti con sistemi bioinformatici, confrontati con modelli animali e umani tra Regno Unito, Nord Dakota e Texas. Anche l’eventuale assunzione di farmaci che alterano la decomposizione, ipotizzata in casi simili, non sembra reggere nel caso Resinovich. “Nella mia esperienza finora mi è capitato una sola volta di trovare un corpo che non si decomponeva, è stato nel periodo del Covid – riconosce Procopio –. Nessuno sapeva darsi spiegazioni, si ipotizzava l’assunzione di farmaci poco prima della morte, cosa che potrebbe aver allontanato gli insetti. Bisogna anche considerare che la decomposizione parte dal microbioma intestinale. Quindi, se assumo antibiotici molto forti e muoio il giorno dopo o il giorno stesso, il progredire di quel fenomeno sarà alterato. Ma sono tutti casi che non mi sembrano collegabili alla morte di Liliana Resinovich”. Il microbioma, però, non convince ancora tutti. Nella relazione Cattaneo viene bollato come “sperimentale”.
