Il caso della custodia cautelare di Louis Dassilva, accusato dell'omicidio di Pierina Paganelli, l’ex infermiera in pensione uccisa con ventinove coltellate il 3 ottobre 2023 nel suo garage di via del Ciclamino a Rimini, solleva interrogativi complessi su come un passato traumatico possa influenzare una capacità omicidiaria, e fino a che punto questo possa davvero sostenere una tale accusa. In soldoni, un uomo, un passato, e una contestazione di omicidio. Ma la domanda che dobbiamo porci è questa: è davvero il suo storico, per quanto duro e tormentato, sufficiente per puntare il dito contro di lui? Da un lato, la Procura descrive un uomo segnato dall'addestramento militare e da esperienze di violenza estrema, ma dall'altro è necessario valutare il sottile equilibrio tra il trauma vissuto e i fatti concreti che lo collegano al delitto. Descritto da alcuni come una persona mite e incapace di fare del male, Dassilva si trova al centro di un'indagine che sembra focalizzarsi non solo sul crimine in sé, ma anche sul suo passato. La sua esperienza include il servizio nella Gendarmeria senegalese e un periodo di detenzione violenta in Libia. L’uomo, infatti, è arrivato nel nostro Paese con il barcone nel 2015.
Secondo la Procura, che non ha mancato di sottolinearlo anche in sede di Riesame, queste esperienze avrebbero segnato Dassilva a tal punto da renderlo capace di atti estremi, fino all'omicidio di Paganelli. Comprese le abilità nell’accoltellare una persona. In quest’ottica, chi indaga ritiene dirimenti anche le parole della moglie Valeria Bartolucci. Quest’ultima, difatti, tre giorni dopo l’esecuzione della misura di custodia cautelare del marito, avrebbe dichiarato che l'addestramento ricevuto da lui durante il servizio proprio in Senegal, gli avrebbe consentito di uccidere una persona "senza che questa perda nemmeno una goccia di sangue", "perché lui è stato istruito, perché è un ex militare". Tuttavia, dal punto di vista criminologico, e non solo da quel punto di vista, è essenziale distinguere tra il vissuto traumatico e il comportamento criminale concreto. Un trascorso difficile non può da solo giustificare un'accusa sanguinaria e letale. Traumi e addestramento militare possono certamente incidere sulla psiche di una persona, ma non sono automaticamente indicatori di pericolosità o violenza. Altrimenti quanti dovrebbero essere gli assassini in giro? La criminologia insegna che, per stabilire un legame tra esperienze traumatiche e reati violenti, è necessaria un'analisi molto più approfondita e complessa. La Procura ha posto grande enfasi sul passato di Dassilva come elemento chiave anche per dimostrare la sua capacità di uccidere.
L'addestramento militare, per quanto rigoroso, non si traduce necessariamente in un comportamento criminale. Non esiste un automatismo certificato che collega traumi o formazione militare alla trasformazione in assassino. Non si può presumere che chi ha ricevuto una formazione militare o ha subito traumi sia destinato a compiere atti criminali. Il trauma, infatti, non è un certificato di colpevolezza. È importante evitare di giudicare un uomo per ciò che ha vissuto piuttosto che per ciò che ha fatto. Nel caso di Dassilva, ci sono ancora troppe incertezze sul suo coinvolgimento, diretto o indiretto, nell'omicidio di Pierina Paganelli. Poco meno di un frame, ed un Dna ancora tutto da attribuire. Se gli esami dovessero attribuire il profilo genetico rinvenuto sui reperti della vittima ad un altro soggetto, come sarebbe il nuovo approccio al passato di Dassilva? E di conseguenza rispetto alla sua presunta colpevolezza? Le indagini devono assicurare sempre alla giustizia non un qualsiasi colpevole, ma il colpevole. O i colpevoli.