L’America chiude le porte alla Cina e Pirelli si trova in mezzo. Il gigante italiano degli pneumatici deve sganciarsi in fretta da Sinochem, il socio cinese che controlla il 37% dell’azienda, se vuole evitare di finire schiacciato dalle nuove regole americane. Il problema? La norma sui connected vehicles, entrata in vigore la scorsa settimana, vieta la vendita di hardware e software provenienti dalla Cina. Risultato: il Cyber Tyre, il pneumatico smart di Pirelli, è fuori dai giochi perché “contaminato” dalla partecipazione di Pechino nell’azienda. Un colpo durissimo per un mercato che vale il 40% delle vendite dei prodotti high-value. Il punto è che il governo italiano ha già ridotto il potere dei cinesi nel board Pirelli con il Golden Power, togliendo a Sinochem il controllo sulla gestione operativa. Ma la questione è ancora aperta: Sinochem è ancora il padrone della Bicocca? Secondo il management e il collegio sindacale, no. Secondo la Consob, invece, serve una verifica chiara prima dell’approvazione del bilancio. Se il consiglio d’amministrazione di oggi non trova una quadra, il bilancio potrebbe essere bocciato: i consiglieri cinesi sono 6 su 15, e lo scontro è più acceso che mai.


Marco Tronchetti Provera, il regista dell’operazione, ha tentato di tutto: ha viaggiato fino a Hong Kong per trovare un accordo, ha studiato scenari alternativi – dal delisting di Pirelli con un’Opa alla vendita delle quote di Sinochem a investitori più “neutri” – ma al momento la situazione è bloccata. E la tensione non si placa. Sinochem, piuttosto che allentare la presa, ha rilanciato: ha messo in discussione la presenza nella partita di Niu, un’altra società cinese legata a Camfin, la cassaforte finanziaria di Tronchetti Provera. Il colpo di scena? Sinochem sta cercando di usare lo stesso argomento che Pirelli ha mosso contro di loro: se la loro presenza crea problemi negli Usa, perché quella di Niu no? Nel frattempo, sul fronte istituzionale la partita è ancora aperta. Il comitato Golden Power sta valutando se alcuni consiglieri cinesi abbiano violato le restrizioni imposte da Palazzo Chigi, mantenendo un doppio ruolo tra Sinochem e Pirelli. Il verdetto potrebbe cambiare le carte in tavola. Intanto, in Borsa, Pirelli continua a soffrire: ieri ha perso un altro 2,5%, segnale che il mercato non ha fiducia in una soluzione rapida. Oggi il board si riunisce per decidere il futuro dell’azienda. Il rischio? Che il braccio di ferro con Pechino si trasformi in una guerra senza esclusione di colpi. Il tempo stringe e, mentre i legali trattano dietro le quinte, una cosa è certa: il caso Pirelli è molto più di una semplice disputa societaria. È una partita geopolitica che si gioca tra Milano, Washington e Pechino.
