Facciamo parlare i dati, per primi: secondo il report 'Bambini e ragazzi 2023' dell'Istat, l’85% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni dispone di un profilo sui social network. Considerando invece la fascia 17-19 anni, la percentuale aumenta oltre il 97%. Un plebiscito, tant'è che si pensa quasi con tenerezza a quel 3% scarso di adolescenti che ancora usano il telefono per fare altro, che sia giocare, guardare zozzerie o anche solo farsi una cultura. Sulla percentuale comunque c'è una parità di genere quasi perfetta, anche se le ragazze sono un filino più presenti, l'86,4% contro un 83,4%. Non è passato molto tempo da quando i rappresentanti dei maggiori social network hanno fatto pubblica ammenda di fronte al Senato statunitense. Le scuse di Mark Zuckerberg, processato dal Senato americano a febbraio di quest'anno, simboleggiavano questo: la politica stava iniziando a prendere provvedimenti nel mondo dei social, fino ad allora quasi totalmente libero e privo di regole. Soprattutto, si stava iniziando a prendere sul serio, e in maniera strutturale, il problema della presenza dei minorenni nel mondo digitalizzato. Gli Stati Uniti si erano accorti in anticipo del problema, rispetto a noi. Già a ottobre del 2023 avevamo parlato di una possibile Norimberga dei social, dopo che 41 Stati americani avevano denunciato Mark Zuckerberg per mancata tutela dei minori. L'Unione Europea sta iniziando soltanto ora ad occuparsene concretamente, e il 16 maggio ha avviato un procedimento formale "nei confronti di Meta ai sensi della legge sui servizi digitali in relazione alla protezione dei minori su Facebook e Instagram".
Un problema importante, che ha due punti da tenere ben presenti. I minorenni infatti sono sui social principalmente come utenti, ma esiste anche una larga fetta di bambini e ragazzi che ci lavora, con i social media, facendo i post, i reel, i filmati, le caption, le collab e tutto il resto. L'Italia, a livello politico, se ne sta iniziando a occupare ora. In Francia, per esempio, il settore è regolamentato già dal 2020. Da noi è stato depositato in questi giorni un disegno di legge, a firma bipartisan di Lavinia Mennuni e Marianna Madia (rispettivamente Fdi e Pd). Vediamone i punti fondamentali. Come prima cosa, i gestori delle piattaforme social saranno obbligati a verificare l'età degli utenti, e si spera che lo facciano in una maniera più stringente, dato che al momento basta inserire una data di nascita falsa per entrare.
Poi viene regolamentato il lavoro dei baby influencer, i bambini anche di tre o quattro anni che vengono utilizzati per creare contenuti video destinati ai loro coetanei. Chi ha figli ci avrà avuto sicuramente a che fare, ma vale la pena di aprire una veloce parentesi per spiegare di cosa stiamo parlando. I baby influencer sono bambini piccoli, spesso anche accompagnati dai genitori, che vengono utilizzati per creare video, su YouTube o Tik Tok, in cui fanno cose che dovrebbero fare i loro coetanei, anziché guardarli. Semplicemente, vengono filmati mentre giocano. Ma non solo, perché poi ci sono anche i baby influencer di Instagram, con le fotografie super impostate nello stile degli adulti. E non ci sarebbe anche nulla di male, se non fosse che nella maggior parte dei casi i post, ma sopratutto i video, contengono sponsorizzazioni di giocattoli, vestiti o altro, esattamente come avviene per gli influencer adulti. Un lavoro vero e proprio, con una mole di guadagni anche importante e che sicuramente non va a finire in mano al protagonista, cioè al bambino, e che quindi va regolamentata. Il ddl prevede, come è già in Francia, che i guadagni vengano congelati su un conto corrente del bambino fino al compimento della maggiore età, qualora le entrate superino i 12mila euro all'anno. Il ddl istituisce, infine, il 114 come numero telefonico di emergenza per l'infanzia, utile per segnalare eventuali casi di violenza, bullismo o pornograf*a. Come si vede, qualcosa si muove.