Matteo Salvini, veterano di salami e merendine ipercaloriche da social, che beve un succo di albicocca per 9 secondi e fa 4,4 milioni di visualizzazioni, ma crolla sotto il 9% dei voti. Luigi Di Maio che fa stage diving sui pizzaioli, superandosi nella fama da ex bibitaro con la fame di poltrona (che ora si dovrebbe scordare, stando al prefisso telefonico racimolato alle urne). Il tre volte Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che si esibisce nel collaudato genere delle barzellette, con quell’aria da nonno bisognoso di aiuto, e su TikTok diventa in un sol giorno un meme già entrato nella storia del trash italiano (“Ciao ragazzi”). Carlo Calenda, neo-tiktoker anche lui, che si presenta come “brutto, con la pancia”, “un orso ubriaco” nei balletti, finito sotto una gragnuola di sfottò, e con il Terzo Polo declassato a quarto (delusione da spartire con quella lenza di Matteo Renzi, esperto twittarolo in un mondo in cui Twitter conta ormai soltanto nella ristretta cerchia dei rooftop fighetti). Giuseppe Conte e Giorgia Meloni più sobri, più posati, forse un po’ ingessati, ma che almeno così hanno scongiurato il devastante effetto cringe, l’imbarazzo da gaffeur, sia pur con caduta di stile al fotofinish da parte della futura premier, mostratasi con due meloni (…) davanti alla telecamera. Una trovata ancora più parodistica dei saluti romani di quegli irrecuperabili casi di psichiatria che sono i nostalgici.
Diciamo la verità: se l’intento dei politici in fregola elettorale era catturare la labilissima curiosità degli zoomer o degli alfa - i nati dalla fine degli anni ’90 all'anno 2010, una generazione in conclamato deficit attenzionale - ne devono ancora mangiare di pastasciutta (cit.) O meglio: sarebbe il caso che si astengano, o quanto meno che modifichino il menu. Se diamo retta al commento a caldo del sondaggista e politologo Renato Mannheimer sui risultati di ieri, l’astensionismo schizzato al 36% annovera una quota di diserzione giovanile “superiore al 50%”. Segno che “gli interventi dei leader”, in particolare sull’ultima frontiera sul social di ultima frontiera, TikTok, “hanno lasciato il tempo che trovano”. Non ci vuole una laurea in massmediologia per divinare il perché: abituati a scorrere i video in modo compulsivo e distratto, per passare il tempo e scacciare la noia, gli internet-dipendenti al massimo danno un'occhiata sghignazzando a contenuti della politica che, già di loro, non si prestano a formati tra il secondo e il minuto. In più, se questi animali da talk invadono come una mandria, quasi tutti assieme contemporaneamente, il canale del momento, è logico che i fruitori ne sgamino all’istante la mossa scopertamente manipolatoria. I ragazzi, scafatissimi nel navigare online, non si fanno incantare dall’ultimo boomerminkia venuto. Tanto meno visto che, nell’inseguire la dinamica di intrattenimento e cazzeggio, il parolaio di turno risulta ancora più inautentico, fuori contesto, tragicamente esilarante.
Con qualche distinzione, certo. Salvini, ad esempio, ha capito da tempo che sui mezzi di nuova uscita bisogna salirci il prima possibile per sfornare quotidianamente una pietanza curiosa, magari anche sguaiata, condita di scenette presuntamente normali. Solo che la ridondanza alla lunga stufa, diventa un tip tap sulle gonadi. Per non parlare degli eccessi: la maratona di 6 ore a social unificati, durante l’ultima giornata di campagna elettorale, gli avrà anche permesso di radunare folle virtuali più di 10 comizi messi insieme, ma non ha spostato di una crocetta il collasso della Lega. Il Capitano è scaduto a tenente di fregata. E così pure, molto probabilmente, non sono arrivati per questa via ulteriori consensi al M5S, semmai è stata confermata la tendenza del target giovanile, per capirci quello disperatamente assuefatto alla precarietà, a vedere con simpatia un Conte, gigione ma non troppo, che fra l’altro capitalizza la notorietà da personaggio bene o male acquisita nell’anno nero della pandemia. Il Pd, che i sondaggi davano forte nella fascia 18-30, si è affidato a facce di diversa forma. Ma neanche quella di Alessandro Zan, popolarissimo nella sua nicchia come icona politicamente gay ha potuto nulla contro l’abisso in cui è caduto il grigio e abbioccante Enrico Letta. I professori, nella società dello spettacolo, funzionano solo se lasciano trasparire una seconda anima da Breaking Bad, alla Walter White. O al più, alla Cacciari. Non se ammaniscono perbenismo astratto e occhialuto, ripetendo il compitino per casa.
L’algoritmo, come si sa, è più misterioso del terzo segreto di Fatima. Le Loro Maestà gli influencer, dal canto loro, non paiono smuovere le masse, se guardiamo al flop dell’endorsement alla rovescia di Chiara Ferragni, l’Evita Peron dello smalto per le unghie che si è esplicitamente schierata contro la destra. I 14 milioni di utenti italiani di TikTok sono sì un bacino di potenziali voti, ma in una minima e insignificante parte composta da giovanissimi che abbiano già una vaga idea di cosa siano la dimensione politica, la tornata elettorale, le idee-base dei protagonisti. La quantità, signori consulenti di marketing strapagati per ramazzare figure da chiodi, non potrà mai sostituire la banale qualità di un profilo credibile e di una proposta accattivante, sufficientemente percepita come nuova (che nuova poi lo sia davvero, questo è un altro paio di maniche) e di un rapporto più terra terra con i guai veri. La qualità, sissignori, di uno stile costruito nel tempo, di un’astuzia tecnica e, soprattutto, di un fiuto politico che niente a che vedere hanno con le furbate finto-situazioniste da instagrammer faciloni. Anche perché il situazionismo prevedeva il plagio per scandalizzare. Qua invece abbiamo commedianti che vorrebbero plagiare e nemmeno riescono a fare scandalo. Riescono solo a fare ridere.