Raccontare la penombra è possibile, ma è più facile farlo a posteriori. Per questo è così difficile, oggi, adesso, agguantare la trasparenza – che è anche la verità, il senso – dei fatti. Prendete Fedez: era o non era presente sul luogo dove è stato pestato Cristiano Iovino? Ha scritto poche ora fa la nostra Anna Vagli: “La spedizione punitiva, non a caso avvenuta davanti alla sede di Casa Milan, avrebbe avuto – oltre agli ultras della curva sud rossonera – proprio il rapper tra i protagonisti. Così testimonierebbero, oltre ad alcuni vigilantes, anche le telecamere di video sorveglianza che lo avrebbero immortalato quando scendeva dal mini van”. Nell’aria c’è il profumo del registro degli indagati della Procura di Milano e i condizionali fioccano, d’obbligo, nella penombra che circonda (minacciosa) la verità. Domani sarà tutto chiaro, ma domani. Oggi si indaga, si intriga, si sospetta. Il domani, per certe storie, invece è arrivato oggi. Le storie raccontate dal team di Spazio Penombre, canale YouTube che ha esordito da poco, a inizio 2024. Chi sono? Ce lo dicono con una stringata bio in inglese: “Spazio Penombre is the new format that aims to bring to light and narrate the stories of individuals born from socio-cultural backgrounds not always in the spotlight, often labeled without prior knowledge”. Luce su individui che hanno vissuto nella (s)comodità di ambienti sociali difficilmente illuminati. Così si torna in curva, stavolta fronte Inter, con l’intervista a Nino Ciccarelli, storico leader dei Viking nerazzurri. “La mia storia parte da Quarto Oggiaro e ancora non so dove arriverà. Ma di una cosa sono certo, che essa mi ha portato nella direzione dello stadio, o meglio in curva, e tutto questo sicuramente mi ha salvato la vita”, afferma sul suo sito.
Oggi Ciccarelli parla apertamente, racconta la sua Milano, una Milano di destra in anni di sinistre ubriacature. Uno che ne ha pestati tanti, Ciccarelli, ma oggi, a pochi anni dai 60, ha nostalgia di “una Milano che aveva cuore e valori”. Anche gli ultras affondano sotto i colpi lievi della nostalgia e così Ciccarelli risulta più credibile, bravo a diradare le nebbie, quando ti fa rivivere in diretta ciò che ieri non poteva raccontare: “Andavi a scuola e crescevi con un’ideologia che ti guidava negli anni a venire. Oggi c’è un modo di vivere, voglio vivere come quello […] Quelli di destra lavoravano, quelli di sinistra avevano tutti l’università pagata”. La curva del Milan “era molto organizzata, facevano le coreografie”. “Molto più numerosa, e di sinistra”. E l’Inter? “Noi eravamo pochi, ma cattivi, facevamo gli incidenti. Perché eravamo quattro scappati di casa di destra, loro una marea”. Milano is the shit, per dirla in stile urban. Una Milano che non c’è più, che passa attraverso i racconti di chi c’è ancora (Ciccarelli) e chi, da poco, ci ha lasciati. Tipo Franco Gatto, il “Presidente” della Dogo Gang, da via Anfossi, zona di case a ringhiera, “spesso un bagno ogni due piani per gente che lavorava all’ortomercato”. Intervista malinconica, la sua, che tratteggia l’epoca delle tribù giovanili. Lui, leader col passamontagna (che poi, nel corso dell’intervista, si toglierà) dei Knife49, storica punk band meneghina, si offre alle telecamere di Spazio Penombre con una limpidezza che non eravamo soliti attribuirgli. Proprio perché – e torniamo sempre lì – la sua storia era immersa in quella nebbia che ha sempre caratterizzato soggetti come lui.
“Da noi la polizia veniva, ma non rompeva i co*lioni, finché si parlava di hashish o marijuana”, racconta Gatto. All’epoca c’erano i muratori e i marmisti che picchiavano, mica dei pischelli qualsiasi. Gatto rievoca le risse, “le capate in faccia che ho dato e mi hanno lasciato il segno dei denti in faccia”, gli schiaffi dati e presi al parco, San Vittore, “coca e mignotte fino a mezzanotte”. E poi l’eroina: “Ha falciato due generazioni, quelli della mia vecchia compagnia per tre quarti sono morti. Overdose, cirrosi, suicidi, depressioni”. Le interviste di Spazio Penombre – guardatevi quella a Cristiano Mercalli, milanesissimo, ma soprannominato “il re di Roma” per le sue vincite all’ippodromo delle Capannelle – hanno un tono leggero, ma gli episodi di vita, spesso vividamente narrati perché stampati nel dna di chi li ripercorre, non lo sono affatto. Anni vivi, ma anche brutali – ricordate la famigerata foto di Dario Rizzi, trovato, appena sedicenne (siamo nel 1979), con una siringa nel braccio nei giardinetti di via Livigno? Così Gatto parla dei Raw Power, del movimento punk (“essere punk o skinhead negli anni ottanta era un problema”), del rapporto difficile, nei locali, con un mondo omosessuale anch’esso, all’epoca, decisamente nella penombra. Se per i coetanei di chi racconta, queste interviste possono suonare come un viaggio nella torbida giovinezza che fu, la famosa Gen Z potrebbe invece ascoltare con sincero stupore queste storie verissime, dove nulla era, ed è, posa. Potevano essere storie sbagliate, ma non finte, non sponsorizzate, violentemente collegate a solidi e severi codici comportamentali (gli stupri di gruppo filmati con lo smartphone? Gatto è esterrefatto, per quanto li trova vigliacchi e infami). Salta in mente un film come “Nil by mouth” – firmato da Gary Oldman, tradotto alla lettera con “Nulla per bocca” –, destinato alla penombra fin da quando tirò fuori la testa nel lontano 1997. Vengono in mente facce da periferia come quelle ritratte da Spazio Penombre.