La Ferrari sta vivendo un periodo piuttosto florido, soprattutto sul mercato, dove, sotto la guida dell’amministratore delegato Benedetto Vigna, sta raggiungendo dei livelli produttivi e di vendita mai visti prima; con un ritorno monetario non indifferente. Ma anche sul lato racing non c’è troppo di cui potersi lamentare. Una serie di secondi, terzi e quarti posti fa ben sperare per la nuova stagione di Formula 1, nonostante la continua rincorsa della Red Bull di Max Verstappen, e il podio di Carlos Sainz nel gran premio d’Australia ha sicuramente svoltato l’inizio dell’annata. Inoltre, bisogna anche tenere conto del futuro arrivo del campione inglese Lewis Hamilton, chiamato a correre in coppia con Charles Leclerc. Eppure, nonostante questo clima entusiastico, ci sono alcuni timori che rovinano l’atmosfera. Ma davvero Ferrari rischia di diventare americana? La paura nasce da un dato svelato dalla “stessa Casa di Maranello - come spiega Marigia Mangano de Il Sole 24 Ore - nei documenti finanziari depositati alla Sec dove si ripercorre l’evoluzione del libro soci della Rossa, aggiornando i nuovi equilibri e vecchie pattuizioni tra i soci”. Insomma, dall’analisi in questione si scopre che il blocco italiano caratterizzato dalla Exor della famiglia Agnelli (con a capo John Elkann) e Piero Ferrari (figlio del fondatore Enzo), che insieme arrivano al 52% dei diritti di voto, è accompagnato da una decisa presenza a stelle e strisce nel board dell’azienda emiliana; che sembra ormai aver perso il suo caratteristico accento modenese a favore dell’inglese. Una Ferrari americana, dunque, ma forse non è una sorpresa…
La giornalista del Sole 24 Ore, quindi, rivela che la compagine italiana del Cavallino avrebbe aumentato la sua presenza attraverso “il doppio piano di buy back messo in pista da Ferrari - che - ha portato il peso dei due azionisti in termini di voto dal 48% al 52%, un controllo di diritto a tutti gli effetti in grado di blindare il gigante del lusso da incursioni esterne”. Eppure, continua ancora Mangano, “qualcosa come il 30% di Ferrari è detenuto dagli Stati Uniti”. Nello specifico, si legge nel report del quotidiano economico finanziario italiano, “si tratta, in termini di controvalore di qualcosa come 23 miliardi di euro. Un investitore di spicco con questo passaporto e azionista stabile nel libro soci […] è rappresentato da Blackrock con il 5,69%, seguito da T. Rowe Price Associates, Inc. con un pacchetto del 4,48%. A conti fatti, dunque - riporta Mangano -, c’è una quota del 10% detenuta stabilmente da investitori americani”, a questi si somma poi “un altro 20% che ha residenza Oltreoceano”. Questi dati, riportati da Il Sole 24Ore, sono stati raccolti dalla stessa azienda di Maranello. Si tratta, dunque, di una nuova frontiera per il brand italiano, eppure questa spinta americana non è certamente una novità. Infatti, basta solamente osservare l’andamento delle vendite per comprendere l’importanza del mercato statunitense, dove, rivela Mangano, “nel 2023 Ferrari ha consegnato […] 3.262 auto su un totale di 13.663, pari al 24% delle consegne totali”.